Alessandro Pizzoccaro

Omeopatia, libertà di salute e di cura a partire dalla consapevolezza di sé 

Un tempo per fare impresa ed essere pionieri di una visione olistica della persona, un passaggio di millennio in cui è cambiata la società e insieme anche l’individuo che la abita: i quaranta anni che celebra Guna nel 2023 raccontano la storia di un concetto di salute che si traduce in realtà attraverso ricerca e innovazione, costruzione di un dialogo con gli stakeholder, diffusione di un nuovo modo di intendere la medicina, sguardo sull’individuo inteso come unicum con se stessi e con l’ambiente circostante e ‘difesa sulle barricate’.  

“È giusto che ognuno abbia la possibilità di curarsi come meglio crede”, afferma Alessandro Pizzoccaro, presidente di Guna, azienda italiana specializzata nella produzione di medicinali a basso dosaggio. La libertà di scegliere come coltivare il proprio benessere dovrebbe essere un baluardo delle autorità che gestiscono la salute secondo Pizzoccaro, che continua: “Ognuno deve prendere consapevolezza del proprio corpo e del proprio concetto di persona. Ciascuno è chiamato a riconoscere la propria essenza e specificità, perché questa dovrebbe essere la chiave per sviluppare il senso di essere parte di un mondo condiviso” 

Guna celebra quest’anno 40 anni d’impresa. Come è cambiato il concetto di salute? E come è mutata la consapevolezza delle persone? 

Molto è cambiato dalla parte dei pazienti. Quaranta anni fa c’era una visione quasi sacrale del medico, che prendeva decisioni su cui era impossibile aprire uno spazio di discussione, se non per una piccola minoranza. Col tempo, grazie a un’informazione che si è diffusa sia in modo tradizionale sia online, un numero crescente di persone ha compreso più nel dettaglio come funziona il sistema della salute e ciascuno ha maturato un’idea di come debba essere curato e trattato. È un cambiamento positivo perché è giusto che ognuno abbia consapevolezza della propria salute e dell’idea di sé come individuo.

Quello che abbiamo voluto trasmettere in questi 40 anni è che l’uomo non è fatto solo da parti di organismo, ma è composto da emozioni, psiche, spirito, un concetto che sta diventando patrimonio condiviso da un numero sempre maggiore di persone. 

La persona, un sistema a più livelli

Siamo corpo mente ed emozioni. Nei medici come è mutata questa sensibilità? 

Nella classe medica la necessità di inquadrare l’uomo nella sua globalità si è trasformata in una maggiore consapevolezza. È curioso come ci sia una differenza rispetto a quando abbiamo iniziato proponendo questa nuova impostazione. All’epoca non c’erano tantissimi medici, ma una minoranza era estremamente curiosa di scoprire un mondo della salute e della malattia diverso rispetto a quello appreso all’Università. C’era un interesse nei confronti delle medicine orientali, l’agopuntura, la fitoterapia e anche l’omeopatia.

Alessandro Pizzoccaro

La volontà di scoprire in dettaglio questi rimedi in Occidente si è un po’ persa, c’è una maggiore diffusione della conoscenza di questo tipo di medicine, ma un minore approfondimento. Da un certo punto di vista è un bene perché il contributo che abbiamo dato alla conoscenza di queste metodiche ha avuto la sua ricaduta, dall’altro lato c’è un po’ di tristezza nel vedere che un profondo interesse verso quello che non fa parte del mainstream della sanità è un po’scemato. 

Oggi siamo nell’epoca del tutto e subito, ad esempio in medicina spesso silenziando il sintomo e non andando alla causa. La cura vuole invece ascolto, pazienza e profondità. 

Se ci riferiamo a un particolare tipo di impostazione medica come l’omeopatia o come la chiamiamo noi – low dose medicine – registriamo che agisce bene nelle patologie croniche e quindi per definizione comporta cure che durano a lungo, perché vanno in profondità e cercano di arrivare sulle cause dei problemi. Ma c’è un colpo di scena! Anche per certe patologie più immediate l’omeopatia funziona benissimo, ad esempio in caso di traumi o infezioni, se viene scelto il rimedio giusto la soluzione è più o meno immediata. La low dose medicine agisce bene nelle malattie croniche, allo stesso tempo è efficace nei momenti acuti di malattia. 

Come lavorate in termini di cultura e informazione sulla filiera distributiva?

Ci sono medici, pazienti e farmacisti, non tantissimi, che ancora pensano che l’omeopatia sia acqua fresca, perché sono bombardati da un’informazione mainstream che dichiara che non ci siano prove scientifiche, chesiano cose da stregoni… il che è completamente falso. Si tratta di affermazioni scientificamente inaccettabili, esistono moltissimi studi che dimostrano che l’omeopatia funziona.

Il motivo per cui c’è questo ostracismo è legato a errate informazioni che vengono trasmesse dai media, senza la correttezza professionale di andare a verificare le evidenze scientifiche che il medicinale funziona. 

È un tema di percezione creato dall’informazione.

Sono soprattutto i media più importanti che sembrano quasi avere come obiettivo di sminuire le possibilità terapeutiche di questo tipo di medicina. Un approccio fondamentale per la salute pubblica:

la low dose medicine agisce sulla prevenzione in quanto rinforza il sistema immunitario della popolazione, e poi è efficace.

Per di più, dato che al momento sia le visite mediche che i farmaci sono a totale carico del paziente, il Sistema Sanitario Nazionale risparmia, perché il cittadino si cura a costi suoi. 

C’è un dialogo con le istituzioni per agevolare una maggiore accessibilità a questo tipo di medicina? 

Quando ho parlato di convenienza mi sono messo dal punto di vista dello Stato, perché se assumo il punto di vista del consumatore, è chiaro che un medicinale a totale carico è uno svantaggio. 

In Germania buona parte dei medicinali omeopatici vengono rimborsati, in Francia una percentuale viene restituita al paziente e così in buona parte dei Paesi del mondo.

È soprattutto la situazione italiana a essere abbastanza anomala, a livelli di costi ma anche di informazione.

Mi riferisco non solo alle notizie che arrivano da parte dei media, ma anche a quelle che noi come azienda possiamo fornire alla popolazione. 

Ci sono vari livelli di disallineamento: è proibito fare pubblicità, sulle confezioni non è possibile scrivere le indicazioni terapeutiche, addirittura secondo una recente interpretazione di Aifa le aziende non possono informare neanche i medici e i farmacisti delle caratteristiche terapeutiche dei farmaci che producono.

Molte difficoltà, ma il settore è in crescita

Evidentemente c’è un pregiudizio nei confronti di questo nostro mondo che condiziona la visione delle autorità, eppure, incredibilmente, nonostante tutte queste restrizioni, il settore continua a crescere e questa è la dimostrazione più evidente che qualcosa funziona.

Le persone sono soddisfatte, i medici sono attivi e noi abbiamo un riscontro: ogni giorno riceviamo email di consumatori, che senza essere sollecitati sentono la necessità di scriverci, ad esempio “grazie al vostro farmaco tal dei tali sono guarito da un problema che da anni non riuscivo a risolvere…”. 

La medicina dei sistemi per interpretare l’uomo come unicum

Come si realizza una medicina centrata sulla persona?

La medicina con l’uomo al centro si contrappone a quella focalizzata sull’organo in quanto interpreta le persone come un unicum, formato non solo da organi di per sé e che interagiscono l’uno con l’altro, ma da un sistema che a sua volta si relaziona con la psiche e le emozioni. Nel valutare la patologia della persona che si trova di fronte, un medico deve considerare i vari aspetti e mettersi in condizione di cogliere quali sono le vere cause che hanno provocato quel sintomo, che secondo la medicina sistemica non deve essere soppresso, ma utilizzato come spia per riuscire a capire quali sono i problemi sottostanti.

Medici riuniti per la cura della persona intesa nella sua globalità.

In questi due anni in cui abbiamo organizzato i Symposia sulla medicina dei sistemi ( leggi qui) abbiamo notato che questa visione dell’uomo nella sua globalità sia condivisa dalla maggior parte degli ordinari di cattedra delle facoltà di medicina, non si tratta di un tipo di impostazione riservata ad alcuni medici originali. Tutti capiamo la necessità di interpretare l’uomo come un unicum. Quando abbiamo proposto di organizzare questi convegni centrati sulla medicina dei sistemi, autorevoli esponenti della classe medica sono stati interessatissimi, perché hanno avuto la possibilità di esprimere la loro visione della salute, del paziente e della malattia sganciata dagli approcci che devono seguire regolarmente. I convegni che vengono organizzati di solito si basano su metodi determinati relativi alle varie specializzazioni, o si parla dell’ultimo rimedio e farmaco che si è scoperto. In questo modo abbiamo dato ai medici la possibilità di confrontarsi fra di loro e di scoprire che, anche se provenienti da contesti professionali diversi, hanno una visione simile del paziente. 

Il contatto con le Università si può tradurre in un contatto di formazione con i futuri medici? 

Le facoltà di Medicina stanno diventando sempre più tecnologiche, anziché offrire una visione sistemica della professione, ne danno una molto specialistica ben inquadrata. È difficile per il giovane medico che esce oggi dall’Università restituire al paziente una sua globalità perché è stato abituato a incasellarlo nelle sue specifiche espressioni. 

Siamo un unicum come persone, ma anche un tutto uno con l’ambiente che ci circonda. 

L’interpretazione più moderna esplicitata dall’OMS è il concetto di ‘One Health’:

la salute dipende dalle persone, ma anche in modo importante dal contesto sociale, familiare, ambientale.

Chi vive in una situazione inquinata, perché lo è il contesto sociale, familiare, o ambientale, ne risente anche dal punto di vista della salute. L’organismo è un network che interagisce al suo interno e anche al suo esterno. 

Che cosa hanno messo in luce gli eventi degli ultimi 3 anni in termini di esigenze, sia al modo di curare, sia alla creazione di un clima collaborativo fra i vari sistemi di ricerca e di informazione, per il massimo bene delle persone? 

Rispetto a 40 anni fa il paziente oggi sente di più la necessità di essere curato con modalità che non producano effetti collaterali. Quaranta anni fa si dava quasi per scontato di prendere una medicina e di non stare troppo a pensare alle conseguenze.

Oggi c’è una maggiore consapevolezza da parte delle persone, e quindi è aumentata anche la richiesta di essere curate con modalità naturali, intendendo con farmaci che non diano effetti collaterali. Si tratta di un trend in crescita. 

Quello della salute in termini di licenze è un grande business. Voi avete fatto la scelta di essere free patent: qual è il principio che vi ha guidato? Cosa avete lasciato e che cosa avete trovato?

Inizialmente abbiamo fatto dei brevetti, ma ci siamo accorti che portavano via un sacco di energia, tante risorse in termini umani, finanziari e di tempo. Ci siamo chiesti: perché dobbiamo utilizzare queste risorse per proteggere conoscenze del passato, anziché utilizzarle per scoprire qualcosa di nuovo che serva per oggi e per domani?

Abbiamo deciso di non fare più nessun brevetto e di investire molto in ricerca e didattica.

Tra l’altro riteniamo che nel 2023, quando le informazioni viaggiano in maniera istantanea in tutto il mondo, proteggere delle conoscenze non abbia senso, soprattutto nell’ambito della salute: tutto dovrebbe essere condiviso per favorire un interscambio tra i vari ricercatori. Questo non succede perché c’è l’idea, secondo me sbagliata, che proteggere le proprie conoscenze porti vantaggi.

Ma il vero beneficio che si ha che quando avviene una scoperta è di poter fare delle innovazioni

e prima che eventuali concorrenti riescano a copiarle passerà un tempo importante. 

La nostra decisione non è esclusivamente basata su una valutazione etica, di per sé già valida, ma di non corrispondenza che noi abbiamo sperimentato tra vantaggi e svantaggi economici. 

Mettere al centro la persona anche in azienda: come si muove Guna al suo interno? 

È importante anche per chi lavora in un’azienda condividerne gli obiettivi: si sente più gratificato, utilizza il suo tempo a favore di un progetto che condivide e produce anche più volentieri. È vitale fare un lavoro che piace e a cui si dà un senso. Credo che questa sia delle mie più grandi soddisfazioni: aver trasmesso i valori che ci hanno ispirato 40 anni fa. 

40 anni fa l’incontro da cui tutto è iniziato.

Da giovani si è coraggiosi ma anche un po’ incoscienti. Avevo conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie da poco, eravamo entrambi appassionati di omeopatia. Lei era ricercatrice in un’azienda farmaceutica importante, io avevo una piccola attività di import – export, abbiamo deciso di abbandonare le nostre rispettive attività e di iniziare questa esperienza coraggiosa, che è stata anche fortunata. 

Siete una famiglia che vede le nuove generazioni protagoniste. Avete trasferito questo patrimonio di conoscenze e valori nel passaggio generazionale che interessa Guna? 

Nel frattempo, abbiamo fatto anche cinque figlie e mi auguro proprio che portino avanti il testimone nei prossimi anni. 

Che visione ha per il futuro? Qual è il prossimo passo necessario per la cura della persona? 

Ci dovrebbe essere una maggiore autoconsapevolezza, domandarsi qual è il senso della vita. D’altra parte, ognuno di noi è un unicum, ma è condizionato da mille situazioni esterne. È molto difficile riuscire a mantenere una propria individualità, riconoscere la propria essenza e specificità, questa dovrebbe essere la chiave per sviluppare il senso di essere parte di un mondo condiviso.

Siamo tutti interconnessi

Quello che succede a 5000 km di distanza, prima o dopo influisce anche su di me, o in modo emotivo o anche praticamente c’è questa interconnessione tra noi e gli altri.

Siamo un network che comunica a tutti i livelli: parte dall’interno e arriva all’esterno, fino a quello globale. 

Come si fa a coniugare la necessità di recuperare un rapporto empatico medico – paziente con un utilizzo della tecnologia sempre più predominante in ambito medico? 

Sono due strumenti diversi che devono essere integrati. È chiaro che quanti più dati abbiamo, di noi stessi, delle caratteristiche genetiche, delle nostre abitudini e più il medico ci conosce come pazienti e ha possibilità di comprendere. Allo stesso tempo questi dati devono essere interpretati, perché non rispondono a tutte le domande. I numeri devono essere letti in una visione ampia in cui le varie informazioni devono riportare alla persona nella sua entità globale, come network.

Leggere i dati all’interno del contesto umano 

I dati sono importanti e utili ma se non vengono interpretati all’interno del contesto umano si rischia di prendere delle decisioni sbagliate e di non entrare in sintonia con il paziente. Se un medico non entra in empatia con il paziente è difficile che riesca a passare il messaggio della cura, non è credibile. 

C’è una urgenza dei medici a cui una medicina differente può rispondere?

Oggi il medico di base si lamenta perché è diventato una specie di burocrate, deve stare attento a compilare moduli, a non sforare budget di costi, la cura del paziente è una delle tante strade che deve seguire. Questo modello demotiva il medico e ha una ricaduta sull’efficacia del Servizio sanitario nazionale. Dal punto di vista dell’uomo come lo vede la medicina dei sistemi siamo molto lontani, c’è tutto un mondo da recuperare.

Fa sistema il comparto dell’omeopatia? 

C’è un’associazione, abbiamo tutti gli stessi valori, simile impostazione, una visione condivisa dell’importanza di curare l’uomo con strumenti che rafforzino le difese immunitarie e che entrino in sintonia con la persona. Da una parte c’è questa comunione di intenti e dall’altra c’è anche la necessità di fare sistema, perché il mondo che ci circonda non ci è proprio favorevole, dobbiamo stare sulle barricate per difenderci affinché non ci distruggano. 

Come rendere più democratica la low dose medicine sia in termini di informazione che di prezzi?  

È giusto che ognuno abbia la possibilità di curarsi come meglio crede.

Se non si dà la possibilità di essere informato rispetto ad altri tipi di medicina, non si attua un atteggiamento democratico. La libertà di cura dovrebbe essere un primo approccio a cui si deve ispirare qualsiasi autorità che deve gestire la salute. Va garantito un sistema che assicuri che i farmaci vengono fatti secondo determinati parametri di sicurezza e salute, ma che dia la possibilità di far conoscere questa impostazione medica.

Che cosa è per lei il Quoziente Humano?

Quoziente significa parte, una percentuale che a mio avviso dovrebbe essere sempre più rilevante nelle decisioni che vengono prese o nelle azioni che si fanno. Il quoziente umano è fondamentale, guai a fare in modo che non sia assolutamente maggioritario nel nostro modo di vedere Omeopatia, libertà di salute e di cura a partire dalla consapevolezza di sé le cose, nella nostra impostazione mentale emozionale spirituale. Evviva il Quoziente Humano! 

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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva.

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