Stefania Monti, LedyDetta

Un sorriso per vivere in positivo 

Conosciuta tra le corsie degli ospedali come LedyDetta, Stefania Monti è presidente di Dutur Claun Vip Milano ODV, associazione, tra le 72, che fa parte di VIP ViviamoInPositivo Italia ODV, federazione che funge dacollegamento e coordinamento delle singole realtà sparse sul territorio nazionale e che riunisce oltre 4200 volontari clown.
Un servizio distribuito in oltre 200 strutture ospedaliere e sanitarie, offerto al paziente e ai suoi familiari, che in una situazione di disagio, fisico e psicologico, possono raccogliere sorrisi e colori. Un contributo che si allarga al sociale e che va oltre il tempo della visita se, come sostiene la psiconeuroendocrinoimmunologia, disciplina medica, esiste un’interdipendenza tra i vari sistemi psicologico, neurologico, endocrinologico e immunologico.

Un approccio basato su ore di formazione, empatia, rispetto e leggerezza: “Viviamo In Positivo è una filosofia da portare non solo in corsia, ma anche all’interno del gruppo e dei propri familiari – ci racconta Monti, dopo averci confidato che le sue due parti, Stefania e LedyDetta, sono mischiate – . Ridere fa bene allo spirito, si dice che se affronti positivamente situazioni difficili riesci a superarle un po’ più serenamente”.

Partiamo dal nome della vostra federazione: Viviamo In Positivo. 

Il nome vuole indicare un’azione continua nel tempo. La federazione è stata fondata nel 1997 a Torino e si occupa di clownterapia. All’inizio siamo nati facendo missioni all’estero, poi siamo diventati clown di corsia e negli ultimi anni, soprattutto a fronte di quello che è accaduto, ci siamo evoluti in clown sociali, ovvero abbiamo ampliato le nostre attività e siamo in tutti quei luoghi di disagio dove un sorriso serve: ospedali, rsa, hospice, ma anche case-famiglia e parchi. 

Perché portare la clownterapia in strutture pubbliche e private dove c’è un disagio fisico e psichico? 

Portare sorrisi è importante, il nostro scopo è quello di entrare in una stanza e metterci in comunicazione con chi è dentro: per esempio, possiamo portare un bambino con i suoi genitori metaforicamente fuori, andando in un mondo diverso per qualche minuto. Vogliamo dare un po’ di leggerezza in un momento che leggero non è. 

Qual è l’obiettivo della clownterapia?

Come volontari il nostro obiettivo è strappare un sorriso. La nostra è una federazione strutturata, la formazione è una delle leve più importanti a cui teniamo. Andiamo via dalla stanza quando l’energia è alta e l’aria più lieve.

La cura della persona passa anche per le sue emozioni e sentimenti. Come si entra in relazione con gli altri quando stanno vivendo un momento di fragilità e sofferenza? 

Il clown, come principio generale, chiede se può entrare in una stanza, ciò comporta che possa ricevere un no. Questo, a mio avviso, è positivo, perché la stanza di ospedale in quel momento è lo spazio di chi la abita e il poter dire no quando si è in una situazione difficile significa scegliere come vivere il proprio sentimento. Come clown impariamo a ricevere dei no e a gestirli. Solitamente entriamo in punta di piedi: bussiamo alla porta, facciamo qualche chiacchiera, accettiamo il sentimento che troviamo. Come mandato abbiamo il non contatto con le persone, ma nelle situazioni molto critiche possiamo prendere una mano, respirare insieme, tutto per approcciare ai sentimenti in modo molto attento.

La magia del sorriso.

Lasciamo che ognuno scelga di vivere a suo modo la situazione, poi se abbiamo spazio proviamo a muovere un po’ quel sentimento che incontriamo e a portarlo per qualche minuto lontano dalla tristezza. È un modo di esserci delicato. A volte alcuni genitori non vogliono che si entri nella stanza dei loro figli, altre volte ci dicono: “Vieni che è un po’ arrabbiato, magari riesci a farlo ridere”. Ci è capitato che un bambino inizialmente fosse nascosto sotto il lenzuolo, quando abbiamo incominciato a scherzare, ha tirato fuori un occhio, l’altro, e poi abbiamo giocato insieme. Prima era tutto un no, d’un tratto la scena è cambiata, ed ecco che la magia si è mossa. 

Come si sta accanto al dolore? 

Affrontiamo diversi step che ci aiutano ad arrivare pronti. Oltre alle nostre formazioni, dal momento in cui si prepara la borsa, comincia la preparazione. Solitamente ci incontriamo per la clown-colazione, ci vestiamo e ci trasformiamo nel personaggio. Alla fine di ogni servizio, ci incontriamo e condividiamo quello che è successo: i momenti piacevoli e le criticità. Abbiamo esperienze diverse, alcuni hanno una storia più lunga all’interno dell’associazione, ognuno di noi è utile per la sua unicità.

La pnei parla di una interdipendenza tra sistemi psiconeuroendocrinoimmunologico. 

Noi non sappiamo che cosa abbiano i pazienti, in alcune situazioni è facile immaginare quale sia la malattia, ma in molti casi non conosciamo di cosa soffrono. Quello che abbiamo potuto osservare è che, come ci riferiscono in molti casi, quando andiamo via, il giorno dopo si vede l’effetto, si sente che siamo passati e che abbiamo portato quella ventata di leggerezza e di gioco. Basta individuare un oggetto in una stanza e ci inventiamo una storia. Più si riesce a vivere il momento positivamente, più è possibile trovare la soluzione in una situazione difficile da gestire. Quando stiamo con i bambini ci rendiamo conto che molto impatta la relazione madre figlio, spesso è il genitore che si coinvolge per primo e ride alla nostra presenza.

Io, ad esempio, come LedyDetta sono una ballerina e già le persone quando mi vedono vestita con tutù ridono. Più si riesce a entrare in una dimensione positiva nella malattia, più si affronta meglio, ma tutti coloro che sono intorno al malato devono trovarsi nella stessa posizione. In hospice è capitato che alcuni familiari non ci volessero fare entrare, invece, quando incontriamo i pazienti notiamo che, se parlano di qualcosa che non sia la malattia, sono più sereni: si può stare su aspetti fantasiosi o lontani e abitare un’altra dimensione, secondo me funziona. 

Il famoso clowndottore Patch Adams ha scritto che la salute si basa sulla felicità: “per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie, ma lavorare insieme condividendo spirito di gioia e cooperazione. Come accendere i riflettori sulla felicità anche in un momento di malattia?

Non è facile per nulla, non credo esista una formula magica per aprire quella possibilità. Certamente, avere un approccio positivo aiuta. Ogni stanza per noi è diversa, ogni persona che incontriamo unica, con qualcuno si può trovare un canale di comunicazione immediato, con altri per riuscire a fare uno spazio ci vuole tempo. Provarci sempre è lo spirito. Totò diceva ‘la felicità è fatta di attimi di dimenticanza’, forse noi per qualche minuto allontaniamo chi vive un disagio dalla situazione di dolore in cui è. 

Viviamo in una società che ha bisogno di ridere?

Credo ci sia l’abitudine a prendersi molto sul serio. Bisognerebbe essere capaci, rispettosamente, di imparare a ridere insieme, anche delle fragilità. 

La clownterapia è un servizio? 

Sì. Ciascuno di noi volontari sta liberando del suo tempo per mettersi a disposizione degli altri. Le direzioni sanitarie si stanno muovendo molto sull’umanizzazione delle cure e si avvalgono di associazioni come la nostra. 

Si può perseguire il benessere anche durante la malattia?

La nostra attività è settimanale e nella stanza ci stiamo 10-15 minuti, sta a chi vive la situazione cogliere e perseguire il benessere. 

Qual è a tuo avviso la più potente medicina di cui l’uomo può disporre? 

La sua relazione con gli altri. Se si riesce a mettersi in connessione con gli altri in modo rispettoso, si ottiene la forza dell’incontro. Si possono instaurare relazioni con persone con cui ci si può confrontare e crescere, si ride insieme di certe situazioni e si va avanti. 

Qual è la caratteristica che deve avere un clown di corsia? 

Noi siamo volontari, tra di noi ci sono educatori, insegnanti, ma la nostra formazione di clown è fornita dalla federazione. Bisogna essere empatici e leggeri, per capire l’altro che si ha di fronte e intuire come ci si possa muovere. La relazione si crea in pochi minuti. 

Che cosa è per te il Quoziente Humano?

Qualcosa che va oltre la parte di intelligenza logica, ovvero la capacità di unire la parte razionale con quella emotiva. Siamo qui per diventare esseri umani capaci di entrare in relazione con l’altro, chi si spende per gli altri ha messo il suo quoziente umano davanti. 

Che cosa si riceve dal servizio di volontariato? 

Di più di quello che diamo. Spesso arrivano messaggi di ringraziamenti dalle persone che incontriamo: il fatto di essere riusciti a portare a casa un sorriso è una grande ricompensa. Non ci vuole molto per cambiare le vite degli altri, basta poco. 

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Ci vuole cuore

Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.

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