Il paracadute / L’inquietudine come spinta evolutiva

In ogni epoca della storia umana, l’inquietudine interiore può trasformarsi in un sentiero verso l’ignoto, verso un orizzonte che spesso non abbiamo parole per descrivere: lo potremmo chiamare “spirituale”. Oggi, sovente, questo viaggio ha inizio con una sensazione di malessere, di estraneità alla propria vita. È un bisogno che emerge in modo silenzioso, e ci spinge a cercare soluzioni immediate, risposte che la società ci suggerisce di trovare nelle cure, nella terapia, o nella religione intesa solo come atto di fede. Non ci accorgiamo che potrebbe trattarsi di un moto più profondo, di una necessità esistenziale che ci chiama a guardare “oltre” il visibile.

Eppure, dal sottofondo di una vita in disequilibrio, alcuni sanno cogliere un richiamo diverso: intuiscono che quel disagio potrebbe non essere riducibile a una semplice condizione clinica o a una sequenza di pratiche religiose consolidate. Si fanno strada, in questi individui, l’idea che la ricerca interiore e la crescita spirituale possano svilupparsi anche al di fuori di un sistema di credenze precostituito e che possano appartenere pienamente alla sfera della laicità. È come se, in mezzo al rumore di fondo della quotidianità, essi scorgessero un varco verso una realtà più ampia. Emerge così il tema della “scelta” come atto radicale di libertà e responsabilità.

La nostra vita può essere rimodellata

Non appena si riconosce la scintilla di una tensione spirituale, occorre decidere se nutrirla con impegno o lasciarla languire fino a quando gli eventi della vita decidano per noi. Spesso, infatti, le persone attendono che un episodio drastico – una malattia, un lutto, una crisi irreversibile – diventi la porta d’ingresso verso la trasformazione interiore. Tale attitudine, che potremmo definire “pigrizia evolutiva”, è figlia di una paura collettiva: se scegliamo consapevolmente di cambiare, dobbiamo assumerci il peso e la gioia di tutto ciò che verrà. In quella titubanza si nasconde un timore ancora più profondo: scegliere vuol dire accettare che la nostra vita può essere rimodellata, che alcune certezze potrebbero crollare, che vecchi paradigmi potrebbero rivelarsi angusti o privi di senso. La scelta genera la necessità di una nuova responsabilità: non si può più delegare la propria evoluzione a un contesto familiare, a un’abitudine collettiva o a una prescrizione religiosa. Si tratta di aprirsi a una dimensione forse sconosciuta, eppure presente da sempre, che possiamo trovare nelle pieghe del quotidiano tanto quanto negli orizzonti del mito.

Riconoscere l’urgenza spirituale significa anche superare la frettolosa catalogazione di ciò che è “patologico” o “devoto” nel senso più ristretto.

Certo, la dimensione terapeutica e quella religiosa hanno un loro posto, ma esse rappresentano spesso soltanto parti di un disegno più ampio, un quadro in cui il sacro si manifesta in forma polimorfa e talvolta inattesa. Una guarigione del corpo può rivelarsi un’occasione per scendere nel proprio intimo, mentre un rito tradizionale può accendere nuove comprensioni in chi, fino a poco prima, vi si accostava con apatia o distacco.

Scegliere di cercare

In questo senso, la differenza tra “non sapere di cercare” e “scegliere di cercare” è determinante: chi rimane assopito, attendendo che la vita decida per lui, si condanna alla passività e all’idea di essere vittima degli eventi. Chi invece si espone all’ignoto, accettandone la responsabilità, svela in sé stesso quella forza costruttiva che trasforma il disagio esistenziale in opportunità di crescita. Non è un processo automatico né garantito: è un cammino che si dipana fra incertezze, tentativi, nuove scoperte e, a volte, ritirate momentanee. Ma è l’autenticità della scelta, il farsi carico di questa esigenza, a dare forma a una via realmente trasformativa.

La spiritualità, compresa in una chiave laica e libera dai condizionamenti, si presenta così come un viaggio coraggioso.

Un viaggio verso la propria verità e verso la consapevolezza che esiste un legame profondo fra ciò che siamo e ciò che esiste oltre l’umano. Rispondere a un disagio come a un seme – da coltivare anziché da sradicare o soffocare – permette di far germogliare una comprensione più ampia del mondo e di noi stessi. Il vero atto rivoluzionario non è aspettare che il destino o le circostanze decidano al posto nostro, ma accogliere l’invito a una nuova nascita interiore, frutto di una scelta lucida e responsabile. E in questa nascita, ironicamente, possiamo ritrovare il respiro antico, universale, di un’umanità che da sempre va cercando ciò che la trascende.

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Filosofo, antropologo e ricercatore, conduce da più di 30 anni corsi e seminari.

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