Una donna protagonista del calendario Eticha Crediti foto: Gianmarco Chieregato

Diritto alla bellezza, parte della cura

“La bellezza salverà il mondo” scriveva Fëdor Dostoevski. E di una bellezza di cui sono intrise la vita, le forme e l’estetica ci raccontano i protagonisti di questo incontro, che esplorando il territorio umano in situazioni anche di malattia, raccontano quanto il diritto a goderne, pure nella propria immagine sia incisivo in un percorso di cura. 

A sottolineare l’importanza della relazione medico paziente e il valore della cura di sé in una situazione di disagio psicofisico Stefania de Fazio, presidente della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-rigenerativa ed Estetica (SICPRE), e Marco Klinger, professore ordinario di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica all’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica all’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano Milano. 

È Giusy Giambertone, Amministratore Tricostarc e Presidente Tricostarc onlus, a restituirci, invece, il ritratto di donne impegnate in terapie e cure invasive, che diventano modelle degli scatti del fotografo Gianmarco Chieregato per il calendario Eticha, iniziativa di sensibilizzazione alla Tricologia solidale.

E’ la persona intesa come unicum, in cui corpo e mente sono in interrelazione tra di loro e in dialogo con l’ambiente circostante, il concetto da cui parte Stefania de Fazio.  

Perché è importante dare attenzione alla persona nella sua interezza nel percorso di cura?

È acclarato che il paziente vada visto come unità olistica, in cui corpo e mente sono strettamente legati. Per fare un esempio, ogni prima visita di chirurgia estetica da parte di un libero professionista va affrontata prima di tutto con un approccio allo studio psicologico del paziente per comprendere se arriva motivato da una grande sofferenza di non accettabilità rispetto a un difetto fisico o se invece è spinto da terzi. Ci sono alcuni pazienti fragili che ritengono che affrontare un cambiamento estetico possa rappresentare il giro di volta per iniziare un nuovo percorso di vita. In alcuni casi può essere così, quando cioè migliorare una certa fragilità fisica dà uno sprint di autostima e maggiore sicurezza nell’affrontare la vita. Mi riferisco a pazienti che hanno realmente difetti di natura fisica: invecchiamento precoce, naso prepotente, orecchie a sventola. Tutto quello che può contribuire a migliorare la qualità della vita è da considerare, perché ci sono difetti che vengono giudicati dal mondo esterno e non accettati. Si tratta di interventi morfo-funzionali che consentono un approccio alla vita diverso e spingono a una crescita psicologica. È fondamentale che chi affronta queste cose sia uno specialista e che si formi e si aggiorni come da obbligo del Ministero della Salute. Esiste altresì una Body dismorphic syndrome, che consiste nell’incapacità di analizzare la propria immagine allo specchio. È il caso di chi è anoressico: si vede grasso quando invece non lo è. Ci sono casi in cui la persona crede che un’alterazione del proprio volto e corpo diventi la soluzione a sofferenze interiori. Lo specialista in chirurgia plastica è formato per individuare questa patologia e deve indirizzare il paziente all’analisi psicologica.

Qual è il contributo che il medico può dare nel garantire il diritto alla bellezza anche in una situazione di cure invasive? 

Torniamo al concetto olistico di persona. Non posso non considerare un corpo, e quindi un obiettivo di una malattia da curare, scorporandone la parte mentale ed emozionale. Da medico devo affrontare in maniera obbligatoria la terapia della patologia, ma contestualmente dare un peso e importanza a quello che è il benessere del paziente. E in questo rientra il recupero della propria immagine. Non posso pensare di affrontare un percorso terapeutico doloroso, sebbene fondamentale, senza badare all’aspetto estetico dell’individuo. Se l’intervento è chirurgico o clinico bisogna garantire la terapia del dolore. L’approccio empatico con il paziente è essenziale, devono essere considerate anche le sue esigenze psicologiche oltre che fisiche. 

Nello staff che lavora con me c’è una persona preposta all’accoglienza al paziente, ne cura il benessere interiore e l’aspetto estetico. Quando terminano gli interventi si adopera per mettere un po’ di maquillage, sistemare i capelli e rendere l’aspetto curato. Se badiamo alla nostra immagine nel quotidiano perché non dovremmo farlo nel momento in cui la cosmesi e la cura donano una spinta psicologica a farci accettare allo specchio non solo a noi stessi ma agli occhi di chi ci guarda. Noi ci leggiamo negli altri, e magari scorgere un disorientamento rispetto a un volto sofferente amplifica il messaggio del disagio.

Comprendere la persona nella sua interezza

Quanto è importante dare valore alla dimensione della bellezza anche in una situazione di dolore? 

Marco Klinger: È importantissimo perché il paziente riconosce l’immagine di sé, a volte in meglio, e questo la rende più disponibile e di buon umore a tollerare tutto quello che ruota intorno alla malattia: dolori, tristezze, malesseri, stanchezza. Riconoscere l’immagine di sé in modo positivo certamente aiuta. 

S.dF: Facciamo il caso di un paziente oncologico che sta facendo terapia, radio o chemio, che comporta un’alterazione di tutto il nostro compartimento cellulare, la cute tradisce una fragilità patologica. Ci vuole competenza per la cura non solo dell’aspetto estetico ma per il trattamento della cute e degli effetti collaterali. Un percorso di cosmesi, nelle terapie oncologiche, è importante, perché avviene una rivoluzione del volto e del corpo, che va oltre la perdita dei capelli e delle sopracciglia.

Un esperto di cosmesi medica può essere un supporto per guidare il paziente tra le alternative possibili. Una gestione difficile o approssimativa di un presidio può creare danni. C’è tantissimo oggi a disposizione per ridonare al paziente l’immagine che consente di riconoscersi allo specchio e non sottostare alla sofferenza. Il paziente non è solo la patologia dell’organo, ma è un individuo nella sua totalità, con le emozioni che possono includere l’ansia del domani, la paura, non solo di perdere la propria vita, ma di lasciare i propri cari. La malattia quando arriva è una tempesta, uno tsunami nella vita dei pazienti. Il medico deve affrontare tutto questo. Il paziente va seguito in toto: c’è bisogno dello psicologo, del consulente familiare, dell’esperto in cosmesi medicale, del chirurgo estetico plastico quando occorre. 

Il diritto alla salute significa benessere psicofisico.

Qual è il valore dell’empatia nel rapporto medico paziente? 

SdF: È essenziale, prima si valutava un approccio intellettuale scientifico, oggi si dà un estremo valore alla relazione e si è rivalutata finalmente l’intelligenza empatica nell’approccio sia allo studio della patologia che al paziente stesso. 

M.K: Considerata la mia esperienza tutti i risultati migliori sono arrivati da pazienti che mi hanno amato dal primo minuto. Questo vuol dire che conta tantissimo per la paziente avere empatia e buone sensazioni, una paziente positiva è più disponibile al prosieguo delle cure e ha più capacità nelle difese immunitarie. 

In quanto medici come sensibilizzare la categoria? 

M.K: La categoria è già molto sensibilizzata.

Per molte donne il seno richiama l’immagine della femminilità e per queste un intervento alla mammella è vissuto come una malattia nella malattia. Il chirurgo plastico bravo è colui che entra a contatto con la psicologia della paziente. 

Essere belli oltre l’omologazione

M.K: La bellezza è armonia, per il volto e per il corpo, ma c’è una bellezza soggettiva che va oltre. 

SdF: Ci sono donne che si riprendono nude nel busto con i segni di una mutilazione post oncologica alla mammella, altre che si mostrano prive di capelli dopo un percorso di chemioterapia. Non dobbiamo omologare la bellezza, dobbiamo ascoltare il paziente. Se sente un disagio, dobbiamo comprenderne la fragilità e provvedere con tutta la catena di professionisti, ma bisogna anche percepire se di fronte abbiamo una persona fiera del proprio percorso che non vuole nascondere al mondo quello che sta affrontando e probabilmente vuole dimostrare la forza che possiede.

Siamo bellezza 

“Noi siamo parte della bellezza, nasciamo e cresciamo con l’educazione alla bellezza – ci dice Giusy Giambertone, presidente di Tricostarc Onlus, che insieme alla Fondazione Prometeus ONLUS, ha istituito una serie di iniziative atte a promuovere e sostenere il “diritto alla bellezza” per tutti -. Per quello che riusciamo a riconoscerci, per quel famoso dialogo dello specchio interiore che è importante avere sereno e armonioso. Come ci vediamo spesso non è come in realtà appare, a volte siamo severi con noi stessi e allo specchio vediamo una figura che non è quella che è nella realtà.

Le donne che sono in un percorso di cura dalla malattia oncologica e mostrano anche il capo nudo, espongono anche la loro fragilità, nel momento in cui cadono i capelli si è nudi. Nell’uomo la moda ci è venuta incontro, diverso è il caso della donna. I capelli danno un’identità alla persona. Non ci identificano ma identificano.Per esempio, nella diversità tra maschio e femmina, sono espressione del linguaggio non verbale. I capelli possono essere espressione di uno stato d’animo o di un modo di essere. La storia ci insegna questo. Nel maschile la chioma è assurta a simbolo della forza e nel femminile della seduzione. La caduta dei capelli è uno degli effetti collaterali della chemioterapia. Uno fra i più temuti”.

Avere cura fa parte della cura

Quanto impatta l’immagine di sé nel percorso terapeutico del paziente?

Circa l’8% delle donne rifiuta il trattamento chemioterapico. Si impone un approccio etico, bisogna camminare sul velluto quando si attraversano le corsie del dolore. Noi operatori dobbiamo essere complici e offrire il nostro miglior lato nell’accogliere tutte le esigenze che ci sono. La nudità del capo rappresenta la lettera scarlatta della malattia. Ci sono donne che non vogliono fare sapere quello che stanno vivendo ai genitori anziani o ai figli piccoli. Noi cerchiamo di offrire soluzioni solidali con la Banca della Parrucca, in cui c’è un comodato d’uso, perché c’è un altro tema che affronta un qualsiasi paziente oncologico ovvero la tossicità economica. 

Che cosa i sanitari devono fare praticamente per garantire questo diritto? 

I sanitari si stanno rendendo conto di quanto sia importante, oltre a curare, avere cura del paziente. La bellezza fa parte del processo di cura e di guarigione. La parrucca può concorrere a mantenere la qualità della vita, perché se non ci si sente a proprio agio si interrompono le relazioni sociali. Noi siamo fatti anche di socialità. Occorrerebbe promuovere incontri formativi sul protocollo giusto. Tante sono le domande che si fanno i pazienti: “i capelli ricresceranno, vanno tagliati prima, dopo?”. Sono informazioni dovute e necessarie. È bene che i sanitari si facciano carico di lasciare spazio all’informazione e facciano sentire le donne in terapia ascoltate e meno sole. È giusto che le pazienti siano informate e vadano nei centri giusti e siano assistite anche da un punto di vista economico. Il Servizio Sanitario Nazionale fa quello che può, dal canto nostro siamo in continuo dialogo con le Regioni per fare dare contributi anche all’acquisto delle protesi, cerchiamo di essere vicino con i progetti della Banca della Parrucca e della donazione dei capelli ma non basta, nel senso che non tutti lo sanno. 

La nostra immagine passa attraverso tanti elementi anche estetici. Come e perché valorizzarli durante un percorso di malattia e di dolore? 

La prima cosa che noi donne facciamo quando usciamo di casa è metterci un po’ di trucco, pettinarci, vestirci. Siamo alla ricerca del nostro miglior sé da offrire all’esterno, anche per andare dal medico. Il medico di rimando deve proporre delle alternative. Possono esserci tante iniziative, l’importante è attivare l’interesse. Anche il terzo settore sta facendo tanto, ma dovrebbe esserci in maniera continuativa e non rispetto al singolo progetto. I medici hanno una grande responsabilità, è vero che esiste una medicina dell’urgenza, ma l’avere cura fa parte della cura. 

Quest’anno il calendario Etihca è giunto alla settima edizione. Che cosa rappresenta il progetto? 

Presentiamo il calendario in cui donne in malattia riescono a trasformare la criticità del dolore in opportunità (leggi qui). Ci fanno da modelle e le pettiniamo e le trucchiamo: si sentono belle. Dare uno schiaffo alla malattia in tal senso è un messaggio sia per chi la vice, sia per chi la approccia, sia per chi deve fare prevenzione, perché si festeggia la vita. Purtroppo, ci sono anche donne che non ce la fanno e che quando sentono di stare per andare pensano ancora a essere in ordine. È un senso di dignità. Noi donne siamo belle dentro e vogliamo che appaia anche fuori, fa parte dell’essere materne, inteso nel senso di accogliere tutte le necessità e di risolverle. 

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Giornalista, consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo individuale e dei gruppi attraverso strumenti a mediazione espressiva. 20 anni di esperienza in comunicazione aziendale.

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