Adolescenza, la fragilità del maschile che chiede ascolto

L’adolescenza è per definizione mutevole e metamorfica, ma questo non la solleva dall’essere bersaglio di pregiudizi monolitici. Se da un lato la critica femminista e post femminista ha sviscerato in lungo e in largo la rappresentazione dell’universo femminile, contribuendo a movimentarlo, il mondo dei ragazzi sembra essere fermo a un’idea di maschilità vecchio stampo: è da questo inganno che prende le mosse Romana Andò, professoressa associata di Sociologia dei Processi Culturali alla Sapienza Università di Roma e autrice di Bravi ragazzi (Giulio Perrone editore), rimarcando l’urgenza di portare anche in Italia il dibattito (non solo accademico) sui maschi adolescenti. Girando le scuole per condurre una ricerca sulla rappresentazione dell’adolescenza femminile, Andò si è accorta che a chiedere attenzione erano soprattutto i maschi. Di qui la scelta di puntare il riflettore sulle loro fragilità, facendo crollare l’impalcatura che li circonda.

Che rapporto hanno i maschi adolescenti con la maschilità?

In parte si riconoscono in un ideale di maschilità rigida, che è il modello predominante a cui sono stati educati. Gli adolescenti di oggi non possono prescindere da questa forma di socializzazione eppure, al tempo stesso, stanno emergendo rappresentazioni alternative, che offrono ancoraggi differenti. Il muro inizia a sgretolarsi.

L’immaginario legato alla mascolinità è esso stesso stereotipo?

Di fronte a problemi importanti come le violenze, i femminicidi e gli abusi, ci si riferisce alla mascolinità egemonica e patriarcale usando l’espressione sinonimica di mascolinità tossica: questa equazione non fa emergere altre forme di maschilità e, di fatto, rischia di diventare un’etichetta vuota, un modo per semplificare le problematiche che non consente di cogliere le trasformazioni in atto. Non è di certo questa la strada da praticare.

I ragazzi sono consapevoli che qualcosa si sta sfaldando?

Nei maschi adolescenti, da sempre percepiti come problematici, ho trovato un grande bisogno di essere ascoltati: lo ritengo un passaggio importante perché la mascolinità egemonica non aveva bisogno di confronto. Più che di piena consapevolezza parlerei quindi di campanelli d’allarme. Quel bagaglio di identità di genere che viene loro attribuito inizia a essere percepito in quanto peso di un modello che non funziona più come prima e talvolta come vero e proprio rifiuto di una responsabilità patriarcale.

In questo oscillare quali temi fanno capolino tra i ragazzi?

Sicuramente quello che fino a poco tempo fa era un tabù, cioè la salute mentale, oggi sta acquistando spazio. L’apertura viene anche dalla musica. Pensiamo per esempio a cantanti come Marracash e Chiello che nei loro testi parlano apertamente di bipolarità e di psicofarmaci, o a Fedez che ha dichiarato di aver avuto bisogno di un supporto psicologico.

In generale i media che visioni restituiscono?

Sono molto interessanti le proposte di alcune serie tv, tra tutte Skam che racconta la vita quotidiana dei ragazzi, affrontando temi delicati come micropenia e la difficile sessualità ad essa legata: ne viene fuori una riflessione sull’inadeguatezza del maschile.

La serie Prisma racconta invece l’esplorazione nell’identità di genere, aspetto toccato anche dal gaming: è il caso di The last of us che cala la fluidità di genere nell’archetipo dell’eroe. Volendo essere più precisi, il mondo Lgbtq nei videogame è più lesbico che gay e questo permette di dire che si può parlare di lente aperture dal punto di vista della revisione del maschile.

Nello storytelling mediatico sugli adolescenti, la comunità LGBTQ+ ha ormai sempre più voce: come viene percepito questo processo?

Da parte dei ragazzi c’è la sensazione che nei prodotti mediatici ci sia una sovrarappresentazione dell’omosessualità, percepita come una sorta di forzatura che impone dei personaggi.
Quando mi fanno notare queste cose, rispondo che l’invisibilità rende lo stereotipo uno stigma quindi, anche se stereotipata, è importante che l’omosessualità venga rappresentata.

Stereotipi sociali e social: che rapporto vi corre?

Ritengo che social come Tik Tok generino un senso di prossimità e di autenticità, delineano uno spazio dove è possibile confrontarsi e questo permette al cambiamento di correre ancora più veloce. La loro volatilità permette la sperimentazione e non è un caso che tutti i temi emergenti per i giovani siano discussi proprio sui social. Facendo ricerca sul tema della salute mentale ho notato che le rappresentazioni che emergono dal basso consentono forme di aggregazione sui temi più disparati e delicati. L’altro lato della medaglia è il rischio di spettacolarizzazione che dà man forte alla rappresentazione stereotipata.

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Giornalista pubblicista dal 2013. Abruzzese trapiantata nella Tuscia dove insegna materie letterarie negli istituti superiori.

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