Claudia Segre

Claudia Segre, il valore della donna in finanza

Laureata all’Università di Torino in Bachelor Economics – Major International Economics, Claudia Segre ha lavorato presso primarie Banche italiane per oltre 30 anni e collaborato con varie Università e Fondazioni per diffondere l’importanza della cultura economica e finanziaria. Ha dedicato la sua carriera di Trader e Manager allo studio dei rischi e delle dinamiche dei mercati internazionali, nonché all’approfondimento delle dinamiche geopolitiche globali e alle relative correlazioni economico finanziarie, ricoprendo ruoli di responsabilità sul Trading e Manageriali nelle CapoGruppo di Unicredit Group, Gruppo Intesa e Credito Emiliano. Si occupa di Educazione Finanziaria dal 2003 entrando nel corpo Docente di ASSIOM e nel Comitato di Redazione della Lettera ASSIOM della quale diventa Direttore Responsabile nel 2006 e ancora oggi ricopre questo ruolo per la Lettera ASSIOM FOREX. È Presidente della Global Thinking Foundation, progetto che promuove un approccio valoriale alla consapevolezza finanziaria rivolgendosi agli studenti meno abbienti, alle famiglie e alle fasce vulnerabili nell’ambito dei 17 Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile definiti dalle Nazioni Unite.

Il 7 maggio 2020 sono stati presentati a Parigi i risultati del 2018 della terza rilevazione del Programme for International Students Assessment (PISA) sul livello di educazione finanziaria degli studenti e delle studentesse di 15 anni provenienti dai 20 paesi che hanno aderito.
Osservando il ranking PISA 2018, l’Estonia si colloca al primo posto, l’Indonesia chiude la classifica e l’Italia si colloca al di sotto della media OCSE (505 punti) con 476 punti, peggiorando la prestazione del ciclo precedente del 2015. Inoltre, ben il 20% degli studenti italiani non raggiungono il livello base che presuppone la comprensione dell’importanza di un semplice budget personale.

La performance degli studenti non ha necessariamente un legame positivo con il PIL del paese o con la possibilità di accedere a prodotti finanziari di base. Diventa quindi importante analizzare altri aspetti come l’inserimento dell’educazione finanziaria nei programmi scolastici ed altri aspetti comportamentali e attitudinali legati ai soldi. In questo senso, l’Italia è al penultimo posto per esposizione dei ragazzi ad apprendere nozioni finanziarie a scuola.
Secondo gli esperti OCSE, per colmare queste lacune, gli stati dovrebbero adottare un approccio multidisciplinare per dare vita a strategie nazionali per l’educazione finanziaria che supportino i giovani, prestando attenzione alle divergenze socio-economiche e di genere, che forniscano un accesso sicuro ai servizi finanziari, sfruttando le potenzialità formative che la digitalizzazione offre soprattutto in questo contesto emergenziale e che preservino la costruzione di buone abitudini a livello familiare e scolastico. 

I risultati della Global Financial Literacy Survey presentati il 25 giugno dall’OCSE delineano un pessimo risultato per l’Italia in materia di financial literacy. Con solo 11.1 punti nel Financial Literacy Score, si colloca all’ultimo posto della classifica, al di sotto della media dei Paesi OECD (13 punti) e di quella dei 26 Paesi che hanno partecipato all’indagine (12.7). La scarsa conoscenza finanziaria è l’elemento che ha maggiormente pesato sul risultato assoluto: con 3.9 su 7, quello degli adulti italiani è il peggior punteggio dei Paesi dell’Europa continentale, secondo solo alla Romania.
Infine, un altro primato negativo nostrano concerne (purtroppo) il gender gap nello score complessivo: le donne italiane, insieme a quelle colombiane, hanno avuto la peggiore performance tra tutti i Paesi partecipanti.
Con l’impegno nel colmare il differenziale di genere e il digital divide, Global Thinking Foundation lavora ogni giorno per accrescere la resilienza, il benessere e l’inclusione finanziaria per prevenire l’abuso economico. Per il terzo anno la Fondazione parteciperà al Mese dell’Educazione Finanziaria organizzato dal Comitato per la Programmazione e il Coordinamento delle Attività di Educazione Finanziaria.

L’educazione finanziaria latita nel nostro paese. Un gap che non riusciamo a colmare. A suo parere da cosa deriva questa mancanza?

Va innanzi tutto segnalato che il processo di bancarizzazione non si è ancora completato: il 21% delle donne (a fronte del 5% degli uomini) dichiara di non avere un conto corrente personale e il 9.1% neanche uno familiare. Il 63% delle donne dichiara di percepire un reddito, rispetto all’85% degli uomini, che è più basso rispetto alle figure di riferimento maschili (il padre, il compagno). Le donne inoltre esprimono anche un minor interesse in ambito finanziario e solo il 50% si dichiara abbastanza o molto competente, rispetto al 68% degli uomini. Un divario di conoscenza da cui derivano: la minore capacità di risparmio, vissuto come pratica residuale più che come pianificazione (solo il 22.6% risparmia in modo regolare); la minore propensione all’investimento (il 45% delle donne che risparmiano e prevalentemente in piccola parte). 

Le donne sembrano le più colpite. Anche le università registrano mancanza di studentesse in materia finanziaria. A cosa è dovuta questa disuguaglianza e come si contrasta?

Direi che in sintesi, negli ultimi 3 anni la magistrale di economia e finanza è passata da 1/3 di ragazze a 1/4, e anche il dato provvisorio del prossimo anno è in linea con 1/4. Quindi un calo non drammatico ma ben percepibile, di cui sarebbe in effetti molto interessante riuscire a mettere meglio a fuoco le cause. 

(ll Museo del Risparmio di Torino ha realizzato in collaborazione con Episteme, una ricerca inedita volta a esplorare e misurare il grado di consapevolezza e padronanza della popolazione italiana femminile nella gestione del denaro). 

La crisi economica che stiamo affrontando rimarrà nella storia. A suo parere il piano Colao ci aiuterà a superare questo drammatico momento?

Un piano ragionato e dettagliato con oltre 100 idee per il rilancio dell’Italia nel prossimo biennio realizzato da una Task force di emergenza e da un gruppo di esperti e poche esperte su temi economici e sociali che ha giocato una partita sul filo di lana con un’altra Task force al femminile della Ministra Bonetti! Sui sei macroobiettivi calibrati su resilienza e lotta alle disuguaglianze ritroviamo temi cari e palesi degli Spring Meetings IMF ma sono i tre obiettivi più trasversali quelli che si richiamano direttamente ad alcuni specifici obiettivi globali dell’Agenda 2030 che hanno suonato la sveglia al Governo Conte: digitalizzazione e innovazione Goal 8, rivoluzione verde Goal e parità di genere e inclusione Goal5, recentemente amplificato dal richiamo del CESD il Comitato europeo dei diritti sociali che riprende la Risoluzione del Parlamento europeo del 30 gennaio in tema  di parità di diritti sul lavoro: salariale, opportunità carriera e conciliazione vita personale e professionale.
Il tallone d’Achille come in casi precedenti è il costo economico di attuazione: 170 mld in 5 anni, insomma un buon viatico per il MES!

Cosa cambierà a livello di mercato con questa crisi economica?

La crisi Covid 19 ha influito direttamente sulla crescita economica dei Paesi coinvolti e soprattutto condizionando pesantemente i livelli di occupazione, basti pensare che solo nell’UE son ben 59 milioni i posti di lavoro a rischio, il 26% del totale di quelli europei, a causa di riduzioni di ore lavorate, retribuzioni, congedi e licenziamenti. A queste variabili economiche di politica interna si aggiungono eventi geopolitici come l’atto finale della Brexit, le elezioni in Polonia, il dibattito sul recovery fund che vedranno un impatto diretto sui mercati finanziari e sull’atteggiamento delle banche centrali a livello mondiale. E così la percezione dei rischi e delle opportunità di investimento da parte dei risparmiatori sarà direttamente correlata alla volatilità che subiranno i mercati che si riverbererà su cambi e commodity.

Quali opportunità lei vede in questa pandemia?

L’esigenza di adeguarsi all’uso del digitale per il lavoro, la scuola e per la vita quotidiana ha aiutato il nostro Paese a prendere coscienza di un’urgenza nell’agire sulla riduzione del digital divide sia dal lato personale delle competenze che dal lato governativo e istituzionale nel dotare il Paese di banda larga diffusa su tutto il territorio e gli studenti di device sufficienti a supplire ad un offerta didattica a distanza.

L’opportunità data da questa pandemia è a mio avviso una profonda riflessione sull’esigenza di riqualificazione della forza lavoro così come dei settori dell’educazione e della cura, un nuovo modello egualitario e adatto a nuove esigenze emerse chiaramente dall’esigenza di recuperare il crollo della crescita economica del Paese

Il sistema finanziario è parte integrante del sistema economico, e viceversa. Perché non si può fare una buona finanza se non si è fatto una buona economia?

Ciò a cui stiamo assistendo è una dicotomia tra economia reale e  andamento dei mercati che hanno accelerato in questo secondo trimestre con l’indice MSCI World cresciuto del 17,5%. Quindi la finanza non sempre è direttamente legata all’andamento economico in caso di shock come questo, ma resta un punto nodale per una gestione ottimale delle risorse economiche impiegate dalla spesa pubblica per attuare le riforme strutturali necessarie.
Il consenso dei mercati finanziari a tali manovre e una buona finanza che permette lo scambio efficiente dei flussi finanziari aiuta una buona economia.

Finanza etica è un ossimoro? Oggi che senso ha parlare di finanza etica? Cosa rende la finanza ‘etica’? Ha un impatto sociale? Può generare profitto?

Poco più di due anni fa  al Parlamento europeo a Bruxelles è stato presentato il secondo rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa. Il Rapporto usciva dall’esperienza e nel decennale del fallimento della Lehman Brothers, emblema della peggiore crisi finanziaria della storia recente. Una crisi che dagli Usa contagiò rapidamente l’intero pianeta, e l’Europa in particolare. 

Cosa è rimasto oggi di tali promesse? 

Le attività più opache e rischiose non sono state intaccate e la finanza si caratterizza sempre più per orizzonti di brevissimo termine e per l’unico obiettivo di fare soldi dai soldi. Ancora peggio, gran parte delle normative introdotte riguardano le banche e l’erogazione del credito. Poco o nulla per contrastare la speculazione o regolamentare il sistema bancario ombra. 
Ricordo che il famoso Rapporto Likanen che disquisiva anche di separazione tra banche commerciali e di investimento non ha trovato attuazione così come il dibattito per una tassa sulle transazioni finanziarie, malgrado il voto favorevole del Parlamento Ue e la bozza di Direttiva pubblicata dalla Commissione europea, in entrambi i casi.

Da ogni parte vince l’impeto alla deregolamentazione così le istanze sull’Agenda 2030 e i 17 obiettivi globali diventano non rinviabili e anche l’approccio delle istituzioni europee richiama alla sostenibilità come l’aspetto più urgente e che si riflette nella crescente richiesta di investimenti sostenibili legati ai criteri ESG ed ad una valorizzazione della dimensione ambientale, sociale e di governance delle imprese finanziarie così come delle corporates

Il Covid sembra aver relegato ancor di più la donna a ruoli di angeli del focolare domestico. In tv le donne sono sempre infermiere,interpreti della lingua dei segni, maestre… Sembra ci siano delle professioni rosa… Sarà sempre questo il ruolo delle donne?

Da quel lontano 1927 nel quale i salari delle donne vennero dimezzati e si avviò un processo di negazione dei movimenti femministi dell’800 con testi come Politica della Famiglia del 1938 nel quale si parla di mascolinizzazione della donna che lavora e di causa della disoccupazione maschile!
E ciò che abbiamo assistito durante il Covid19 è una rappresentazione lontana anni luce dalla realtà di oltre l’80% di donne protagoniste delle attività di cura e dei servizi ospedalieri. L’Italia è il fanalino di coda per l’occupazione femminile in Europa, considerando che meno della metà delle donne lavora e tanti sono i motivi (cultura patriarcale, lavoro non remunerato, maggiori difficoltà ad accedere a ruoli apicali, ostacoli che concorrono al  gender gap). Le donne già prima del Covid avevano in carico il lavoro di cura, per questo hanno  pagato più duramente il periodo di pandemia e molte alla fine del lockdown hanno dovuto lasciare il lavoro

Secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro le donne che si sono licenziate sono state 29.879. Tra le mamme, appena 5.261 sono i passaggi ad altra azienda, mentre tutte le altre (24.618) hanno specificato motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e mancanza di nidi) o alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia

Per gli uomini la situazione è capovolta. Ma sono anche quelle che in questo periodo hanno dimostrato di essere molto resilienti.

Nel nostro Paese c’è un divario retributivo di genere?

Un divario retributivo mediamente in linea con quello europeo, e più in generale delle economie avanzate  al 16% . Ma con dei distinguo dove per le donne manager è del 23%e per le donne professioniste tra 35-50 anni arriva anche al 40%.Tanto che l’Italia viene richiamata all’ordine dopo la Risoluzione del Parlamento europeo del 30 gennaio dal rapporto del Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) dopo il reclamo presentato dall’ong University Women of Europe: “Divario inaccettabile in retribuzioni e opportunità”.

Secondo Strasburgo, “l’Italia ha violato i diritti delle donne perché ha fatto insufficienti progressi misurabili nel promuovere uguali opportunità per quanto concerne una pari retribuzione”. E si è alzata la voce della Commissione europea a chiedere di chiudere il divario retributivo di genere in 5 anni. Tenuto conto che Banca d’Italia ha calcolato che se il tasso di occupazione femminile fosse al 60% come stabilito dal Trattato di Lisbona avremmo recuperato un 7% del Pil pari a 146 mld di eur.

Donne e carriera. C’è una mancanza di avanzamento di carriera all’interno delle aziende?

Secondo l’ultimo report Women in Business 2020 di Grant Thornton International, in Italia le donne CEO sono il 20% (+5% rispetto al 2019). Un dato che, sebbene ancora basso, ci fa sperare che la corsa verso la vera parità è ormai lanciata? Osservando come grazie alla Legge Golfo Mosca abbiamo raggiunto il 36 per cento di donne nei cda delle quotate e delle partecipate pubbliche (e il 38 per cento negli organi di controllo), questo risultato fa del nostro Paese uno dei più virtuosi a livello europeo. Prima di tutto occorre superare stereotipi che vedono tra le categorie più danneggiate da aspetti di giudizio discrezionale nell’assegnazione del credito le donne, in particolare divorziate e single. Ed è proprio da una presenza ugualitaria delle Donne nei CDA che è logico attendersi maggiore attenzione a tematiche di gestione del rischio lungimiranti, non discriminanti e prudenti. I miglioramenti raggiunti in 10 anni pongono la presenza di Donne nei CDA in Italia la pone al quinto posto a livello mondiale.

E tutte le analisi son concordi nell’evidenziare forti correlazioni tra diversità e outperformance azionaria, unitamente a livelli più alti di redditività a fronte di un riequilibrio dei rischi

Poi nel rapporto della Consob al 2018 i cda si sono svecchiati – età media 57 anni e quella delle donne 50,9 – sono ora composti da persone più istruite (29,7 per cento delle donne ha un titolo post-laurea contro il 16,7% degli uomini) molte consigliere indipendenti, ma poche executive (9 per cento), pochissime, meno del 5 per cento, amministratrici delegate. E così le manager: 29% (dato del 2017) e qui nel raffronto europeo non brilliamo visto che la media si attesta al 36%. Molte le ragioni, che vanno dalle resistenze culturali e maschili al fatto che le regole del gioco frenano le donne: il risultato è che là dove si muovono le leve decisionali la presenza femminile latita.

La digitalizzazione e la tecnologia stanno portando una maggiore consapevolezza in ambito finanziario?

L’Italia è quart’ultima fra i Paesi UE sull’alfabetizzazione digitale, e ha un ritardo simile sull’alfabetizzazione finanziaria. Prima causa: l’arretratezza del sistema scolastico e formativo di base. Seconda causa: difficoltà di accesso e di utilizzo della rete e soluzioni internet. Solo il 69% ha accesso ed utilizza la rete internet regolarmente sul territorio.
E solo il 31% utilizza l’internet banking. L’uso dell’e governance poi è del 13% rispetto alla media europea del 30%. E solo il 25% dei lavoratori utilizza software da ufficio perché il 40% non è in grado di farne un uso efficiente.
Poi occorre ricordare la frontiera del Fintech che è un’altra arma importante 
Il portato rivoluzionario del FinTech inizia solo di recente ad essere inserito nella più ampia cornice della sostenibilità. A molti pare ormai ovvio che l’innovazione anche in campo finanziario, per essere tale oggi, deve essere sostenibile, e non solo dal punto di vista economico. Non è infatti più possibile pensare all’applicazione delle nuove tecnologie digitali in ambito finanziario, senza integrare preoccupazioni relative agli impatti ambientali e gli effetti sociali che possono direttamente o indirettamente generare.  

Claudia Segre è  Socio Fondatore di ASSIOM FOREX, gia’ Vice Presidente di ASSIOM e attiva in Associazione dal 1993. E’ stato Segretario Generale ASSIOM FOREX dal 2009 al 2016, ed e’ attualmente Direttore Responsabile delle Pubblicazioni e Membro del Consiglio Direttivo. Chairman Board of Education di ACI FX International dal 2012 al 2015, ora e’ Honorary Member ACI International. Membro della Consulta degli Esperti della VI Commissione Finanze Camera dei Deputati dal 2016 al 2018. Dal 2016 è Presidente della Global Thinking Foundation organizza e sponsorizza progetti di Educazione Finanziaria finalizzati a migliorare l’inclusione sociale ed economica in Italia, Europa e USA , attraverso diverse collaborazioni con le istituzioni pubbliche ed enti privati. La Fondazione partecipa agli incontri di INFE (Networking Internazionale per l’educazione Finanziaria) organismo dell’OCSE e agli incontri del Fondo Monetario Internazionale (FMI) dedicati alle Civil Society Organizations durante gli Annual Meetings per condividere e discutere iniziative e progetti favorendo lo scambio di buone prassi tra i 190 Paesi aderenti.

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