Amazzonia foto di un corso d'acqua e di foresta
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Amazzonia, un messaggio dalla foresta: il futuro è ancestrale

 Intervista a Emanuela Evangelista, biologa, attivista e fondatrice dell’Associazione Amazônia ETS

“C’è un momento, poco prima delle sei di sera, in cui la luce si fa tutta dorata. Per me è sempre stata l’ora più bella del giorno, ma qui è ancora più notevole perché dalla finestra non vedo edifici e strade. Vedo alberi e vedo acqua”.

Con queste parole Emanuela Evangelista apre il libro Amazzonia – una vita nel cuore della foresta (Editori Laterza), premio Campiello Ambiente 2024. Più di 25 anni fa la biologa romana (classe 1968) è stata folgorata dal contatto con la foresta tropicale più grande al mondo e una delle più importanti riserve di carbonio del pianeta. Ci è andata per studiare un abitante, la lontra gigante in via d’estinzione, e alla fine è diventata un’abitante anche lei –  vive nel villaggio Xixuaú, lungo il fiume Jauaperi, nello stato di Roraima, nel nord del Brasile. La metropoli più vicina è Manaus, a 500Km, capitale dello stato di Amazonas.

Fondatrice e presidente dell’Associazione Amazônia ETS, per il suo impegno come attivista nella difesa ambientale è stata insignita nel 2020 con la carica di ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana. Il lavoro costante per la preservazione del “polmone verde del mondo” la vede coinvolta in progetti di educazione, salute e sviluppo sostenibile. Non mancano anche le azioni in cui fa da ponte tra Brasile e Italia.

Emanuela Evangelista insieme al leader indigeno Juarez Munduruku (Ph Isacco Emiliani)

Quattro stati, tredici tappe, per raccontare la natura che soffre

A novembre 2024, Emanuela ha guidato una spedizione di 15 giorni, ideata e organizzata dall’organizzazione no-profit che dirige, in collaborazione con 3B Meteo. Proprio durante la peggior siccità mai registrata in Amazzonia, la missione ha percorso 13 tappe della foresta, in quattro stati, per raccontare gli effetti del cambiamento climatico. Durante il viaggio, documentato da Isacco Emiliani, sono state raccolte le testimonianze della popolazione locale, di leader indigeni, scienziati e ambientalisti, realizzate visite ad allevamenti di bestiame e coltivazioni intensive, oltre che registrate immagini impressionanti della natura che soffre.

Cronaca di una spedizione, monito sulla preoccupante situazione attuale e auspicio per un cambiamento concreto a tutela del pianeta: questa è l’intervista di Emanuela Evangelista a Quoziente Humano.

Da quasi 30 anni vivi in Amazzonia e ti dedichi alla salvaguardia di questo ecosistema che è uno dei più cruciali per la regolazione del clima globale. C’è qualcosa che pensi di aver imparato in questa missione che non sapevi ancora su questo angolo del mondo?

L’Amazzonia è un mondo così grande, così eterogeneo, che non finisce mai di insegnarci.  Ci sono sempre cose nuove che si vedono o  che si capiscono per la prima volta. In realtà, è difficile dare degli esempi allegri e positivi perché è stata comunque una spedizione molto pesante: le cose che abbiamo visto sono state abbastanza dolorose.
Cosa posso aver imparato in questa missione? Ho riscontrato delle situazioni più gravi di come le avevo riscontrato le ultime volte. Di sicuro, quello che ho imparato è che abbiamo ancora meno tempo di quanto immaginassi. Per esempio, mi ha colpito molto la morte degli alberi per embolia. Anche se non è una cosa che avviene in tutta l’Amazzonia e qui dove vivo non l’ho mai vista.

(Ph Isacco Emiliani)

Come sappiamo, gli alberi detti giganti o madre, sono responsabili in foresta della sopravvivenza delle piantine più giovani perché, soprattutto durante la stagione secca – un momento critico che dura mesi – è fondamentale che loro riescano con le loro radici a raggiungere il lenzuolo freatico, tirare l’acqua per poi distribuirla – anche a distanze molto grande tramite la traspirazione e il proprio movimento delle radici – a queste piante più giovani. Però quello che mi è stato raccontato a Santarém, da un esperto dell’ICM Bio (Instituto Chico Mendes), un braccio del Ministero dell’Ambiente, e che sta accadendo con una certa frequenza nella fascia di foresta sotto pressione, come nella foresta nazionale del Tapajós, è che gli alberi grandi non riuscendo più a raggiungere il lenzuolo freatico, invece di risucchiare acqua dal sottosuolo risucchiano aria.  Questo – esattamente come accade con il corpo umano – causa embolia, quindi entra una bolla d’aria che blocca il flusso dell’acqua e uccide le foglie, i rami e spesso porta alla morte dell’intero albero. Questo è uno dei motivi per cui si sta dicendo che, in alcune zone, la foresta non è più in grado di assorbire CO2, ma a conti fatti lo emette.

Anche se in continuo aggiornamento, qual è lo stato di salute dell’Amazzonia che hai riscontrato?

Sicuramente preoccupante. Considera che è una foresta che ha sofferto quattro fenomeni estremi negli ultimi quattro anni – tra inondazione e siccità, non c’è stato respiro. Le conseguenze sono ancora incalcolabili, difficile da capire in realtà cosa è accaduto in termini di vita, di flora e fauna. E anche in termini di capacità di resilienza della foresta stessa, di tutto il bioma. È conseguenza del riscaldamento globale il fatto che nell’ultimo decennio il normale processo di piena e riflusso del sistema fluviale amazzonico sia diventato più accentuato, infatti l’entità delle inondazioni è aumentata, così come la tendenza al surriscaldamento e le ondate di calore.

(Ph Isacco Emiliani)

La siccità più estrema di sempre è stata registrata nel 2024 e noi l’abbiamo vista con i nostri occhi. È difficile pensare che nel bacino del fiume più lungo e con la maggior portata d’acqua del pianeta manchi l’acqua per navigare, ma è così, e gli effetti sono drammatici anche perché spesso non esistono strade e i fiumi sono le uniche vie di comunicazione. Abbiamo visto comunità isolate e fiumi prosciugati.

Gli abitanti della foresta ci hanno raccontato di frutti che maturano fuori stagione, di acque dei fiumi che evaporano e si surriscaldano, di moria di pesci, delfini, razze, caimani, perfino cuccioli di gabbiani. Di come cerchino di salvare gli animali, ma non sempre riescono. La pesca diventa difficile, la cacciagione si allontana, la frutta di cui si alimentano è diventata scarsa e i raccolti finiscono sott’acqua durante le piene. Quando arriva, la pioggia è violenta e concentrata, i temporali sono carichi di elettricità e hanno visto la grandine, all’equatore!

Arrestare la deforestazione

C’è possibilità di non arrivare al punto di non ritorno per quanto riguarda la salvezza dell’Amazzonia e di conseguenza del pianeta o è solo una questione di minimizzare i danni?

Tecnicamente sì e sappiamo esattamente cosa serve fare. È necessario arrestare subito la deforestazione e il degrado della foresta e trovare percorsi alternativi verso lo sviluppo sostenibile della regione. Allo stesso tempo è necessario riforestare, rigenerare, c’è tanta foresta tagliata e molto spesso abbandonata, sono aree non produttive che una volta rigenerate possono riportare la biodiversità necessaria alla sopravvivenza e al flusso naturale della fauna, della flora e della variabilità genetica delle popolazioni.

(Ph Isacco Emiliani)

Il nostro problema è il tempo e gli imprevedibili sviluppi causati dal riscaldamento globale, che va contenuto per quanto possibile perché sappiamo che ogni frazione di grado di riscaldamento conta. È necessaria una riduzione globale delle emissioni di gas serra in tempi rapidissimi.

Quali sono state le difficoltà maggiori nel guidare questo viaggio in comitiva?

Il fatto di essere in comitiva ci rendeva molto visibili, quindi era stato molto difficile passare inosservati. Quando questo non aveva nessuna conseguenza negativa, era piacevole perché il fatto di essere un gruppone ha facilitato le interazioni nei posti in cui arrivavamo – nei villaggi, con i bambini, ma anche nelle città. Abbiamo visitato zone in cui non c’è turismo, per cui un gruppo d’italiani ovviamente incuriosiva, facilitava l’interazione. 

(Ph Isacco Emiliani)

Era stato più difficile quando il fatto di essere un gruppo così visibile non ci consentiva di avvicinarci a operazioni clandestine o comunque illecite per cui non eravamo molto graditi.
Poi, non definirei una difficoltà nel senso pieno del termine, ma di sicuro il gruppo di esperti, essendo per la prima volta in Amazzonia, ha dovuto fare i conti anche con i disagi del posto come il calore, gli insetti, i ragni, la paura, le scomodità del viaggio. Devo dire che era curioso per me vedere le reazioni ai primi incontri, di sicuro è stato bello perché il gruppo era molto allegro, molto variegato e, quindi. questo ha reso il viaggio piacevole anche nelle difficoltà.

E quali i momenti più emozionanti?

È stata una spedizione bella e dolorosa allo stesso tempo. Perché passare dalla foresta rigogliosa in cui vivo a quella che soffre è sempre un dolore. Le emozioni sono state per la maggior parte negative, legate alla distruzione, a quel cielo sempre grigio, fosco, coperto dal fumo degli incendi, al fatto di vedere proprio la deforestazione, l’inquinamento dei fiumi. Il fiume Tapajós, che era famoso per le acque cristalline, bellissimo, l’ho visto in alcuni tratti con l’acqua salmastra a causa dell’uso delle draghe, che muovono il terreno sott’acqua alla ricerca dell’oro, e dell’uso del mercurio. Difficile assistere a tutto questo senza provare emozioni forti e negative, soprattutto quando incontri indigeni come i Munduruku, che non possono più bere l’acqua del fiume.

(Ph Isacco Emiliani)

Sicuramente, i momenti emozionanti nel senso positivo sono stati gli incontri con i leader indigeni, nel caso Doto Takak-Ire, dei Kayapó, e Juarez Munduruku. Grande emozione per me, un vero onore. Ho ascoltato parole sagge e suggerimenti importanti. Ho trovato molto bella questa unione tra le etnie indigeni che – anche se in passato sono state rivali e hanno fatto le guerre tra di loro per le risorse, per il territorio – oggi sono tutte unite contro il nemico esterno, cioè la distruzione dell’Amazzonia. Munduruku, Kayapó e Yanomami lottano tutti insieme in questa necessità.

Gli incontri con i popoli della foresta non erano una novità per te, ma per gli altri della spedizione, sì. Raccontaci un po’ i momenti più salienti dell’interazione tra i nativi e il gruppo di 3B Meteo e sulle lezioni che sono emerse da questi incontri.

Tutte le interviste hanno visto sempre il gruppo di esperti molto coinvolto, soprattutto quelle con i nativi, che fossero indigeni o “ribeirinhos” (comunità che vivono in prossimità dei fiumi), che fossimo in foresta minacciata oppure intatta, come per arrivare qui in Roraima.  Nei villaggi, sicuramente l’interazione più importante e divertente era quella con i bambini.  In una scuola in cui Paolo Corazzon ha fatto addirittura una lezione di meteorologia, li abbiamo fatti disegnare nuvole, pioggia. Gli “uomini del tempo” hanno giocato anche a pallone con loro. È stato bello vedere la meraviglia sui loro volti negli incontri con la fauna – con le lontre giganti, le scimmie, gli animali della foresta. Anche queste sono state interazioni con i nativi perché c’era un livello di interazione e dialogo che andava verso la natura, verso gli altri abitanti della natura che non sono soltanto quelli umani.

Emanuela Evangelista insieme al gruppo di 3B Meteo (Ph Isacco Emiliani)
Avete visitato allevamenti di bestiame e coltivazioni intensive. Essendo un’attivista che denuncia anche i problemi legati a questi tipi di attività, come siete stati ricevuti dagli allevatori e dai coltivatori?

Non ero presente nelle mie vesti da attivista, ma da divulgatrice in generale. Quindi l’approccio con tutti questi attori è stato di tipo giornalistico. Prima di arrivare lì avevamo già fatto contatto, presentandoci come un gruppo di meteorologi accompagnati da divulgatori, in missione per capire quali erano gli effetti del cambiamento climatico (se ce n’erano) e anche come questi effetti potevano disturbare le loro attività. Quindi, il nostro interesse era comprendere le problematiche dal loro punto di vista, senza dare necessariamente una connotazione di attivismo all’incontro, che era per raccogliere informazioni e capire anche la loro versione dei fatti. Nonostante ciò, non è stato semplice trovare persone disposte a farlo. Ci sono state delle tensioni, ci sono state sorprese come un incontro cancellato e un altro entrato nell’ultima ora, quindi non è stato un lavoro facile riuscire a parlare con queste persone.

(Ph Isacco Emiliani)

Una regione sotto pressione

Abbiamo avuto momenti di tensione a Itaituba perché lì abbiamo documentato il percorso dell’oro illegale, clandestino, che arriva in questa città, in cui viene poi fuso e venduto, sia in forma grezza che lavorato in gioielli. È una città in cui ci sono tantissime strade molto ricche di negozi che acquistano l’oro che arriva dell’entroterra. E lì appunto c’è stato un momento di tensione, poi è finito tutto bene. È una regione comunque di conflitto, quella. Stiamo parlando dell’Amazzonia sotto pressione, una regione in cui ogni fazione ha i suoi dubbi riguardo le intenzioni degli altri. Dubbi poi infondati, nel nostro caso, visto che il nostro intento era onestamente capire le ragioni di tutti.

A novembre ci sarà la COP30 – Conferenza delle Parti sul Clima, a Belém, città che rappresenta una delle principali porte d’accesso all’Amazzonia. La costruzione di infrastrutture per l’evento sta generando critiche proprio per quanto riguarda la sostenibilità. Cosa ne pensi di tutto questo?

Certo, intendo partecipare, è una COP importante e rappresenta un’opportunità cruciale per fare progressi significativi. La pressione globale, la crescente consapevolezza e il contesto unico dell’Amazzonia potrebbero creare le condizioni per negoziati più ambiziosi.
Riguardo alla costruzione di infrastrutture, difficile giudicare dal mio osservatorio lontano, ma ho sentito critiche soprattutto a riguardo della costruzione di una strada, sulla quale ho espresso un’opinione anche per un’intervista a La Nuova Ecologia, che qui ripeto.

Le strade in Amazzonia destano sempre preoccupazione, quindi è giusto parlarne. In generale, l’apertura di una via di comunicazione nella foresta profonda genera grande preoccupazione perché ha un forte impatto, a più livelli. Spesso costruire strade è il risultato di uno sviluppo voluto da governi e cittadini; ma il problema è che aprendo una via dal punto A al punto B per facilitare il trasporto di merci, energia o combustibili, si aprono porte d’accesso a regioni intatte che vengono poi occupate attraverso il sorgere incontrollato di vie laterali, un fenomeno conosciuto come “spina di pesce”.

(Ph Isacco Emiliani)

Nel caso specifico di Avenida Liberdade, però, mi sento di fare due osservazioni: la prima è che dalle immagini sembra che la strada sia molto vicina alla città di Belém. Più che legata alla deforestazione per prelievo di materie prime, mi sembra un progetto legato allo sviluppo urbano. La seconda è che in una nota ufficiale della Segreteria Straordinaria della COP30, divulgata proprio dopo l’articolo della Bbc, si apprende che i lavori per costruire l’autostrada non sono di responsabilità del governo federale brasiliano e non fanno parte delle 33 opere infrastrutturali previste per la COP30. Ci saranno sicuramente impatti sulla foresta. E se gli abitanti di quella regione sono popolazioni indigene e tradizionali potrà esserci un impatto negativo. Ma è importante sottolineare che il progetto fa parte di un piano di sviluppo della città di Belém voluto dal governo locale e quindi dalla popolazione urbana (almeno la parte che appoggia il governo). È una situazione un po’ diversa da come l’ha presentata la stampa internazionale, anche perché Belém si raggiungerà più probabilmente con un volo aereo, oppure via fiume. In pochi arriveranno al summit tramite quella strada.

Garantire voce alle comunità locali

Quale accordo sul clima vorresti che venisse approvato?

Intanto vorrei che una COP a Belém significhi garantire una maggiore partecipazione e voce alle comunità indigene e locali, che sono in prima linea nella conservazione della foresta. Poi vorrei che portasse il focus delle discussioni sulla deforestazione, sulla distruzione degli habitat del pianeta in generale e sulla necessità di restauro. Diamo ancora poco spazio alle soluzioni per la crisi climatica basate sulla natura, invece sono soluzioni importantissime. L’evento potrebbe fornire un’opportunità unica per discutere e promuovere azioni concrete contro la deforestazione, non solo amazzonica.

E poi, ovviamente, mi aspetto come tutti e spero nell’approvazione di un testo chiaro sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Magari non completo e vincolante ma che almeno comprenda: un linguaggio più forte e specifico sulla necessità di ridurre drasticamente la produzione e l’uso di combustibili fossili; obiettivi più ambiziosi per la diffusione delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica; impegni finanziari più concreti per sostenere la transizione energetica nei paesi in via di sviluppo e un riconoscimento più esplicito della necessità di affrontare le emissioni derivanti non solo dalla combustione, ma anche dalla produzione di combustibili fossili.

Qual è il tuo messaggio e il messaggio dei popoli amazzonici per chi leggerà questo articolo? Come ognuno di noi può fare di più?

 Il messaggio può essere sintetizzato nell’espressione “Il futuro è ancestrale”, una frase potente e profondamente significativa pronunciata da Ailton Krenak, un importante leader indigeno, ambientalista e filosofo brasiliano. Sottolinea che le conoscenze, le pratiche e le cosmovisioni dei popoli della foresta contengono una saggezza fondamentale per affrontare le crisi del presente e costruire un futuro sostenibile. Le loro relazioni armoniose con la natura, la loro comprensione dei cicli ecologici e la loro spiritualità offrono alternative al modello di sviluppo occidentale basato sull’esaurimento delle risorse.

Ognuno di noi può provare a prendere familiarità con il concetto che la natura stessa è un’entità vivente e saggia, un “anziano” che ha accumulato conoscenza nel corso di millenni e per questo va rispettato. Può provare a risvegliare il proprio senso di appartenenza alla natura perché, come dice il mio vicino di casa Elton, “Tu non possiedi la foresta, è lei che possiede te.” Per dire che apparteniamo alla natura, siamo parte di essa, siamo foresta – dicono gli indigeni.

E ovviamente applicare le regole minime della sostenibilità che ormai tutti oggi conosciamo: consumare in maniera circolare, ridurre il consumo di carne e chiudere gli allevamenti industriali, chiedersi da dove vengono i prodotti che si acquistano, investire i propri risparmi nella finanza etica, non acquistare oro se non certificato.

(Ph Isacco Emiliani)

                                 

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