Un primo piano al naturale del cantante Lemuri il visionario, al secolo Vittorio Centrone
Vittorio Centrone, in arte Lemuri il Visionario

Per diventare veramente giovani ci vuole tempo

Vittorio Centrone, alias ‘Lemuri il Visionario’, è stato uno dei cantanti più apprezzati nella recente edizione di The Voice Senior.

Nato a Molfetta, ma cresciuto a Pordenone, il bambino Vittorio coltiva la passione per gli animali (in particolare per i gatti) e nutre il desiderio di diventare un etologo, ma cambia i suoi progetti di vita nel momento in cui scopre una nuova passione: la musica.

Grazie al movimento artistico The Great Complotto, che a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 radunava in un locale della città decine di ragazzi che volevano fare musica ‘alternativa’, il giovane Vittorio è passato dall’osservare il comportamento degli animali, al diventare egli stesso un animale… da palcoscenico! 
Ma le sue trasformazioni erano appena iniziate, perché l’uomo Vittorio diventerà a sua volta Lemuri il Visionario, aggiungendo al suo percorso musicale anche una dimensione onirica.

Ciò che ci ha colpito di Vittorio è il contrasto tra l’uomo maturo e la sua parte fanciullesca; tra la razionalità di chi è andato dritto nel suo percorso con coerenza, e l’irrazionalità del sognatore incallito, che vaga nei meandri del suo mondo fantastico, grazie alla sua capacità di immedesimarsi in più personaggi, ma restando sempre se stesso.

Vittorio Centrone e Lemuri il Visionario: sono due facce della stessa medaglia, oppure due entità distinte e separate?

Sono due facce della stessa medaglia, perché Lemuri è una parte del mio inconscio, il mio alter ego. Ricordo ancora come nacque: molti anni fa, dopo aver fatto ascoltare dei miei brani a un discografico, mi sentii dire le solite cose in merito alla crisi del mercato e al fatto di non essere più giovanissimo. A quel punto, quasi d’istinto, gli proposi l’idea di un Concept album (n.d.r. un album con canzoni che sviluppano una storia), in stile anni ‘70. Lui apprezzò l’idea, e mi incoraggiò a lavorarci su, ma probabilmente lo fece solo per togliermi di torno! (ride).

Io però lo presi sul serio, e mi chiusi sei mesi in una stanza a scrivere la storia di questo mio alter ego, pur non avendo mai scritto in vita mia nient’altro che canzoni.

Com’è stato il passaggio dalla scrittura di una canzone a quella di un racconto?

Ho imparato tante cose: innanzitutto ho realizzato che, mentre la scrittura di una canzone è un atto estemporaneo, buttar giù un racconto ha bisogno di una dedizione diversa e di continuità, perché se entri in un mondo e poi interrompi la scrittura per alcuni giorni, quando poi ci ritorni su, fai fatica a rientrare in quel mondo e a riprendere il filo.

Però alla fine ce l’hai fatta.

È stata un’esperienza incredibile, perché il personaggio creato, che inizialmente somigliava a me, pian piano si è trasformato e ha cominciato a fare cose che io non avrei mai fatto! Per cui ho iniziato a osservarlo come se fosse un estraneo, che però allo stesso tempo rappresentava anche una parte di me.

Di conseguenza, ogni volta che mi trasformo in Lemuri accade una vera e propria mutazione, che inizia dal trucco per poi trasformare anche il mio modo di camminare o di pensare… ed è una sensazione straordinaria, come vivere in un meraviglioso mondo parallelo. 

Di solito un artista si realizza quando trova il partner giusto con cui poter lavorare, spesso un produttore o un autore che riesca a esaltarne le qualità. Nel caso di Lemuri, il partner giusto sembra essere stato il fumettista Giulio De Vita…

Con Giulio, che è un grandissimo fumettista di Pordenone (anche se più conosciuto in Francia), è stato un incontro magico… lui era amico di mio fratello, lesse la storia che avevo scritto e ne fu entusiasta. Vedere realizzato attraverso i suoi disegni tutto quello che avevo immaginato nella mia fantasia, fu per me la cosa più straordinaria ed emozionante… fin da bambino sono sempre stato un appassionato di fumetti, e diventare proprio io il personaggio di un fumetto mi sembrava un sogno.

Parliamo di sogni. Ho letto una tua frase che mi ha molto colpita e che recita: “Ho sempre trovato naturale oltrepassare la linea sottile che separa la realtà dai sogni”; hai mai vissuto dei momenti in cui hai temuto di non riuscire ad attraversare questa linea?

Sono sempre stato un sognatore incallito, anche se per oltrepassare quella linea ci vogliono delle condizioni particolari: innanzitutto non sono mai riuscito a varcare quel solco prima delle 11:00 di sera! (ride). Quando si spegne il mondo fuori, la mia lucidità si acuisce, pertanto non ho mai scritto niente di interessante prima di quell’orario…

In un’intervista hai raccontato che da ragazzino ti isolavi nella tua cameretta ad ascoltare i dischi dei Genesis, immerso nel tuo mondo, con i tuoi sogni. Oggi la musica è cambiata, e anche il modo di fruirla (per strada, con lo smartphone). Secondo te, sono cambiati anche i sogni?

Purtroppo, in questi tempi, i sogni ce li hanno rubati… oggi le scelte sono in funzione del ‘Dio Denaro’, il mondo va a una velocità che poco si sposa con l’arte: l’arte ha bisogno di tempo e immedesimazione, un artista ha bisogno anche di un ozio che io definisco ‘creativo’, perché ci aiuta a entrare in quello stato mentale che ci fa immaginare, sognare e creare.  

Arte riflesso dei tempi

Nei miei progetti cerco proprio di comunicare l’importanza di dare un valore al tempo: quello che ci prendevamo da giovani per ascoltare un vinile e che ci dava modo di immedesimarci nel mondo dell’artista che ascoltavamo, facendo dei viaggi incredibili con la fantasia.

D’altronde, l’arte e la musica sono sempre state un riflesso dei tempi, e quello che ‘si respirava’ negli anni ’70 e ’80 era questa voglia di sognare e un desiderio utopico di cambiare il mondo.

… invece oggi?

Oggi, con Spotify un ascoltatore passa da un brano all’altro, spesso senza neanche sapere chi sta ascoltando; le canzoni durano meno di tre minuti e se poi andiamo sui social, addirittura il tempo medio di ascolto si riduce a trenta secondi! In questo modo, come si fa a creare una ‘magia’?

Quando eri ragazzino, ascoltare musica era una sorta di ‘rito’: si ascoltava e basta. Oggi, la musica è un sottofondo che ci accompagna nelle azioni quotidiane, mentre in contemporanea facciamo tante altre cose… conquista o regresso?   

È sicuramente una forma di regresso. Una volta, l’artista aveva il compito di creare un mondo onirico in cui l’ascoltatore si immergeva completamente e, soprattutto attraverso i testi, riusciva a generare un distacco dalla realtà, che veniva narrata con poesia. La ‘realtà’ raccontata nella musica di oggi è estremamente cruda, e ha perso la dimensione poetica, in linea con una società che ha tolto ai ragazzi la capacità di sognare.

Secondo te perché è accaduto?

Credo che alla base di tutto ci sia un oggettivo decadimento culturale, che ha creato un solco invalicabile che va al di là del semplice conflitto generazionale: è vero che la musica che ascoltavamo noi da adolescenti faceva storcere il naso ai nostri genitori, e quella che ascoltavano i nostri genitori lo faceva storcere ai nostri nonni, ma tutto era comunque riconducibile a un linguaggio di tipo musicale. Oggi è proprio cambiata la tipologia del linguaggio.

Il giusto momento

Torniamo indietro di vent’anni: nel 2004 hai registrato la voce maschile sul brano dance ‘Dragostea Din Tei’, interpretato dalla cantante rumena Haiducii  e diventato a sorpresa una hit mondiale…

Guarda, è una storia incredibile, nata da una casualità. Fui chiamato dal produttore del brano per registrare la parte di voce maschile, poiché cercava un tipo di vocalità come la mia; non vi dico il mio stupore quando, arrivato in studio, realizzai che avrei dovuto cantare in lingua rumena!

Grazie a Paula (n.d.r. Haiducii) e al suo autista rumeno riuscii a imparare la pronuncia corretta, ma nessuno di noi si aspettava che quella canzone sarebbe diventata una hit mondiale!

Con quel brano, la cantante fu ospite al Festival di Sanremo e in tutti i principali show televisivi, potevi esserci anche tu e diventare una star internazionale, invece, hai preferito limitarti a registrare la voce, senza apparire. Come mai?

Perché credo nella coerenza, e quello non era il momento giusto per un’esperienza del genere: in quel periodo avevo creato Lemuri e il mio mondo immaginario di fumetti. Avevo intrapreso un percorso artistico che porta il pubblico che mi segue a entrare in questo mondo di sogni, e l’idea di vedermi sul palco di una discoteca a cantare e ballare mi spaventava, perché totalmente lontana dal percorso che avevo intrapreso.

Non dimentichiamoci che, quando vieni etichettato dal pubblico in un certo modo, è complicato poi scrollarti di dosso quell’etichetta!

Oggi sarebbe diverso?

Oggi, grazie a The Voice Senior, il pubblico televisivo mi ha finalmente conosciuto per quello che sono davvero; quindi, ora non ho timore di fare una ‘digressione’ e affrontare qualcosa di diverso dal mio mondo, tanto che con Haiducii (che ho rincontrato dopo vent’anni, proprio grazie a questa trasmissione) abbiamo già un nuovo progetto che bolle in pentola…

Quindi il successo per te non era qualcosa da perseguire a qualsiasi condizione?

Il successo per me deve essere una conseguenza del raccontare me stesso al pubblico.

Infatti, nella tua canzone ‘Sarò diverso’ il messaggio che arriva è quello di una persona a cui non importa vincere o perdere, ma solo restare se stessa, senza omologarsi.

Esatto, hai colto perfettamente il senso della canzone. In particolare, ci sono dentro i miei ricordi, di quando da bambino andavo a scuola: già allora mi sentivo un essere ‘a parte’, e nel testo del brano ho cercato di comunicare il valore della diversità. 

Nel tuo brano ‘Malinconia Rivoluzionaria’ descrivi il tuo mondo dei sogni, all’interno del quale celebri il sentimento della malinconia, che nulla c’entra con la tristezza, ce ne vuoi parlare?

Mi sono sempre nutrito di malinconia, perché ritengo che sia un sentimento estremamente creativo, senza il quale il 70% delle opere d’arte non sarebbero mai nate.

L’essere umano, sbalzato tra i ricordi del passato e le speranze del futuro, si trova a vivere questo sentimento che ho voluto rivalutare, in quanto costruttivo e con una forte connotazione romantica; purtroppo, in molti conferiscono al termine ‘malinconia’ un’accezione negativa, e questo fa sì che venga confusa con la ‘tristezza’.

Nella canzone ‘Niente da dire’ c’è invece un elogio del silenzio, non in maniera supponente o demagogica, ma con un approccio emotivo.

Questa canzone è nata da un ricordo della mia infanzia, che mi ha creato un’emozione molto forte. Quando questa sensazione è sparita, ho provato a descriverla, ma mi sono reso conto che non riuscivo a farlo; così, invece di scrivere qualcosa che avesse a che fare con quel ricordo, ho scritto l’impossibilità di raccontarlo. Quando i sentimenti ci toccano nel profondo, le parole possono diventare delle gabbie, e quindi a volte servono i silenzi.

Sei arrivato in finale nell’edizione appena conclusasi di ‘The Voice Senior’. Il Talent è un tipo di programma che si basa sulla logica del ‘morte tua, vita mia’, eppure sempre più spesso si percepisce dietro le quinte una certa unione e solidarietà tra i competitor, e non di rado nascono amicizie. Cosa ti ha lasciato umanamente questa esperienza?

La cosa più bella di questa esperienza è stata proprio l’aspetto umano… ho trovato una grande solidarietà, e tra di noi è nato un forte legame, che ora continua attraverso una chat di WhatsApp. Il rapporto di amicizia nato tra tutti noi è un sentimento sincero, ed è il regalo più bello che mi è arrivato e che porterò sempre con me.

Non è mai tardi per inseguire un sogno

Credi che il fatto di essere adulti e navigati, possa essere un plus per vivere l’esperienza con una maturità e un approccio diverso, rispetto a chi è un ragazzo all’inizio della carriera?

Trattandosi di persone di una certa età, che hanno già avuto le loro esperienze di vita professionale, ci sono meno aspettative e si vive il tutto in maniera più ‘umana’ e serena.

Ovviamente c’è l’emozione che vive ognuno di noi quando sale su quel palco, e questo vale ancor più per coloro che hanno cantato solo per hobby, e si trovano catapultati per la prima volta su un palcoscenico così, realizzando il sogno di una vita…  ma, diversamente dai giovani, noi non subiamo pressioni da manager o discografici, che spesso spingono i ragazzi a vivere la competitività in maniera esasperata.

The voice senior è stata una seconda chance a chi da anni è fuori dai giochi per motivi anagrafici. In tempi così difficili, in cui tanti over 50 perdono il lavoro e la speranza, che messaggio vorresti dare a chi, nella vita, ha smesso di credere in una seconda possibilità?   

Non è mai troppo tardi per inseguire un sogno, né per cambiare la propria esistenza, anche se spesso la società attuale ci porta a pensare il contrario.
Il segreto della felicità è scegliere di fare una cosa che ti appassiona tanto, qualunque essa sia; l’importante è capire ciò che si vuole essere veramente, facendo un viaggio dentro se stessi, consci del fatto che potremmo scoprire anche cose che non ci piacciono.

È il tema di cui parlo nel mio album Viaggio al centro di un cuore blu, in cui ciò che conta non è la destinazione finale, ma il percorso che si compie, e la consapevolezza di essere sulla strada giusta.

Vorrei concludere questa intervista con un’altra tua frase che ho trovato molto intrigante: “Per diventare veramente giovani ci vuole tempo”…  tu quanto ci hai messo?

Io ci ho messo sessant’anni! (ride).
Adesso sono veramente giovane, anche se in realtà lo ero già da un po’ di tempo… a parte gli scherzi, credo fermamente che, quando si acquisisce consapevolezza e maturità, se si riesce a mantenere un certo entusiasmo e una voglia di conquistarsi ancora il futuro e lottare per una passione, allora sì, che si diventa veramente giovani

ASCOLTA LA PLAYLIST DI QUESTA INTERVISTA
Dragostea Din Tei
Niente da dire
Malinconia rivoluzionaria
Sarò diverso

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Musicista e scrittrice

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