Daniel Lumera
Daniel Lumera Ph Laura Ginez Ruiz

Meditazione, porta della felicità

Daniel Lumera è biologo naturalista, docente e riferimento internazionale nell’area delle scienze del benessere, della qualità̀ della vita e nella pratica della meditazione, che ha studiato e approfondito con Anthony Elenjimittam, discepolo diretto di Gandhi.

Abbiamo voluto iniziare insieme a lui questo nuovo anno chiedendogli di darci le parole che possono guidarci a viverlo nel più pieno e autentico modo.

Daniel quali parole possono guidarci in questo nuovo anno?

La prima per me è sicuramente gratitudine, una medicina naturale molto potente, abbiamo una letteratura scientifica estremamente affascinante al riguardo. Secondo me il 2023 dovrebbe iniziare, dunque, con un grazie che è un riconoscimento per ciò che si ha e per ciò che si è, nel bene e nel male.

La gratitudine ha anche un secondo effetto fondamentale: permetterci di avere una misura di quanto abbiamo integrato il nostro passato. Qualsiasi cosa noi ricordiamo, anche la crisi più profonda, se proviamo gratitudine siamo stati capaci di fare quel percorso evolutivo che ci ha portato a ciò che siamo. Se siamo soddisfatti di ciò che siamo non possiamo che essere grati al passato

Come facciamo a trovare questo senso di gratitudine quando siamo immersi nelle emozioni negative, come spesso è capitato in questi ultimi tre anni?

Il negativo è strumento di un motore evolutivo di fondamentale importanza. Se prendiamo in considerazione ad esempio l’incertezza, è una grande maestra, ti dice che hai aperte davanti a te tutte le possibilità, che ti devi abbandonare alla vita e guardare dentro di te per trovare risorse straordinarie. Il problema è che l’incertezza ci mette in una condizione di assenza di controllo, la rifiutiamo, sono queste cose a renderla una esperienza negativa. Lo stesso accade per la rabbia, il rancore, l’impotenza. Credo ci voglia una educazione a stare nel negativo, che invece rifiutiamo per un giudizio verso noi stessi, gli altri, o le circostanze. Serve comprendere con profondità il linguaggio delle cose, tra cui quello delle emozioni per ammettere onestamente ciò che si sente, accoglierlo senza giudizio, e poi, se possibile, amarlo.

Per fare questo serve ascoltarsi, una modalità non scontata.

C’è una grandissima differenza tra sentire e ascoltare qualcosa, noi sentiamo e interpretiamo in automatico, non comprendiamo l’intenzione profonda di chi ci parla molto spesso. Ascoltarsi significa innanzitutto sapersi fermare, complesso in una società basata sul fare, sull’avere, sull’apparire. Abbiamo la necessità di anestetizzare attraverso un’alimentazione compulsiva, relazioni tossiche, una sessualità distorta, ci riempiamo la vita di fare perché abbiamo paura di sentire qualcosa che non ci piace e di non essere capaci di gestirlo. E invece abbiamo estremo bisogno di creare dei momenti di silenzio dove innanzitutto riconosciamo la nostra unicità, la nostra vocazione, magari rendendoci conto che seguendo le esigenze di mercato, le aspettative familiari, le necessità sociali ci siamo allontanati da noi stessi, il che fa molto male.

Fermarsi vuol dire avere il coraggio di riconoscersi e seguirsi, a volte, passare dei momenti di isolamento, in cui tutto viene messo in discussione, in cui non si è capiti: possiamo negarlo o vivere questa vita fino in fondo.

Occupandomi anche di accompagnamento alla morte, posso testimoniare che quelli sono momenti in cui tanta gente si rende conto di non avere mai vissuto la vita fino in fondo, si scopre l’urgenza di amare, quali sono i valori e le persone reali, quanto sono superflue a volte le parole che escono dalla nostra bocca.

Indichi la meditazione come un elemento fondamentale per questa presenza piena.

C’è una grande disinformazione sull’importanza clinica, terapeutica e medica della meditazione. Elisabeth Blackburn, premio Nobel per la medicina nel 2009, ha dimostrato che 20 minuti di meditazione al giorno in due mesi e mezzo provocano nelle persone una produzione di telomerasi, l’enzima che ripara i telomi,  biomarcatori della nostra longevità e salute, del 30%. La mente è estremamente efficace per l’impatto che ha sulla biologia del nostro corpo. Sappiamo che a livello fisico la meditazione disinfiamma, riduce i processi di invecchiamento, agisce sul tono dell’umore, sulla depressione, sull’ansia, sulle abilità cognitive, sulla lucidità, sulla sensazione di isolamento e solitudine.

Ogni giorno gestiamo circa 32 gigabite di informazioni in entrata e in uscita al giorno dalla nostra mente, la meditazione è, innanzitutto, la capacità di mettere sotto un processo di volontà, quindi di autodeterminazione, il proprio cervello in una condizione profondamente rigenerativa che si avvicina a quella dei bambini, dove non ci sono nomi, forme, c’è un libro bianco: pura consapevolezza di essere.

A cosa porta questo stato?

È qualcosa di straordinario perché ha connaturato come caratteristica intrinseca, ad esempio, una felicità esistenziale: sei felice perché esisti e ha degli effetti collaterali pazzeschi e bellissimi su tanti piani.

L’abbiamo portata anche nelle carceri, nelle scuole, nel 2021 sono usciti due paper con l’università Cattolica scientifici sull’impatto di meditazione e perdono sulla rabbia dei detenuti: è qualcosa che a livello sociale fa molto bene.

La meditazione è qualcosa che funziona, purtroppo noi ne stiamo parlando, anche adesso, in termini utilitaristici e ragionando secondo logiche di convenienza, ma la meditazione è una arte talmente antica e millenaria che non si basa sull’ottenere qualcosa. È uno stato dell’essere che ci avvicina all’ascolto di noi stessi, al significato profondo della vita, all’empatia verso gli altri esseri, l’aspetto nobile di quest’arte dovrebbe essere  evidenziato e celebrato a prescindere dagli effetti collaterali che crea.

Come si medita?

La gente pensa che meditare sia difficile, in realtà è estremamente semplice, il primo elemento è sicuramente il respiro, basterebbero tre minuti di respiro consapevole al giorno per iniziare ad avvicinarsi alla meditazione. Ci si siede con la colonna vertebrale eretta, si porta attenzione alla sensazione che l’aria provoca entrano e uscendo dalle narici e ad ogni inspirazione – molto, molto lenta – si prende consapevolezza di sé stessi, dell’ossigeno che entra e a ogni espirazione si rilascia ogni tensione. Questi tre minuti bastano per entrare in uno stato di centratura e focalizzare l’attenzione che si trasforma, quando riusciamo a sostenerla nel tempo, in concentrazione prima e in contemplazione, poi: uno stato in cui osserviamo attraverso il silenzio e l’assenza di giudizio.

Il silenzio che vince il giudizio

Il cervello umano è un cervello immaginativo, non distingue l’immaginazione dalla realtà, ma è proprio per questo che noi possiamo regolarne l’attività. La meditazione è liberarsi da quella tensione, da quella pressione, da quei giudizi che normalmente noi esercitiamo nella necessità di analizzare e comprendere la realtà.

Quella pagina bianca che tanto ci spaventa è il punto di partenza di qualcosa di nuovo?

Lo scorso mese di settembre, sono stato al museo Maxi per 7 ore al giorno per 5 giorni in uno stato meditativo, il mio cervello era collegato a un maxi schermo attraverso l’equipe degli scienziati di Giacomo Rizzolati e si vedeva quello che accadeva nella mia mente. Passavano 700 persone al giorno, circa 100 ogni ora, dentro di me non c’era la percezione che ci fosse cambiamento, rumore, ero completamente immerso in uno stato di lucidità, di gioia, di presenza costante.

La potenza della meditazione è che crea uno stato di integrità e di consapevolezza per cui realizzi che ti muovi nella vita non per cercare la felicità o completezza, ma perché ti muovi ‘da’ uno stato di felicità, di completezza e decidi attraverso quello stato. È un vantaggio enorme.

Vissuto dai ragazzi, per esempio, per me scomparirebbe il fenomeno della droga; ho avuto diversi allievi tossicodipendenti, eroinomani, e tutti hanno testimoniato che quando la meditazione arriva alla sua maturità le sensazioni che si provano sono superiori a quelle dell’eroina. Credo che debba essere fatto uno sforzo attraverso una equipe di psicologi, sociologi, neurologi, neuroscienziati per capire come innescare un processo di inserimento della meditazione nei processi educativi nelle scuole, noi lo stiamo facendo c’è bisogno di un po’ di tempo perché ci siano sensibilità e dati scientifici.

Torniamo a quel giudizio, che spesso ci porta a comportamenti ‘autodistruttivi’ o limitanti. Parli spesso di perdono.

Questa è un’altra medicina naturale potente. Il perdono l’ho sperimentato proprio nelle carceri e nell’accompagnamento al fine vita e posso testimoniare che è uno strumento di una potenza incredibile per rielaborare il passato e fare pace con le proprie emozioni. Potrei partire dicendovi cosa non è il perdono, sicuramente non è dimenticare ciò che è accaduto, al contrario, è tenerlo chiaro nella mente ma svuotare i significati legati al rancore, al risentimento, all’impotenza, alla colpa, all’odio, perché da ciò che è accaduto possiamo apprendere tante lezioni e migliorare nella nostra vita.

Perdonare non è nemmeno giustificare, vuol dire entrare in uno processo di compassione, capire che l’altro ha compiuto ciò che ha compiuto perché aveva delle ragioni, quando si capisce che la ferita emotiva dell’altra persona, sì è quantomeno più comprensivi.  

Infine, perdonare non vuol dire non reagire, al contrario: ‘porgere l’altra guancia’ vuol dire l’altro lato, quello che non reagisce all’odio con l’odio ma che agisce in modo consapevole rispetto agli stimoli esterni, attraverso uno stato di lucidità, centratura, consapevolezza. E, allora, perdonare non è una debolezza, ma un atto di forza; l’atto del perdono vuol dire semplicemente ‘per donare.

Cosa intendi con ‘per donare’?

Se ci attacchiamo al dolore, pensate a quanti uomini o donne si attaccano a una relazione fallita, a una violenza subita e continuano a permettere a quell’accadimento di essere tossico, soffriamo. La stessa cosa accade quando ci attacchiamo all’amore, perché lo rendiamo una ossessione, una esperienza terribile. Il problema non sono l’amore o il dolore, ma ciò che noi facciamo con queste due cose.

Il perdono è la capacità di rendere un dono sia il dolore che l’amore. Tutti sappiamo, perché siamo passati attraverso una crisi, che magari due anni dopo la benedici; abbiamo perso la fiducia fondamentale nella vita, sappiamo, però, che dentro l’essere umano esiste il grande potere di trasformare tutto ciò che accade in un grandissimo dono e questo è il processo del perdono.

Può essere trasformato in un protocollo, in una esperienza, noi lavoriamo con quasi 30 protocolli, tecniche di perdono che agiscono in maniera intrapersonale, interpersonale e transpersonale: questo vuol dire che in ognuno di noi possiamo trovare tutti gli archetipi possibili, schiavo padrone, vittima e carnefice, quello che tu vedi nell’altro è semplicemente una parte di te.

Può esistere un salto di coscienza della collettività? E se sì da cosa dipende?

Durante le giornate al MAXXI avevo sempre un ospite che meditava con me e gli scienziati hanno visto che, dopo un po’, questa persona entrava in risonanza con le mie onde cerebrali. Il meditatore esperto, io pratico meditazione ogni giorno da circa 30 anni circa tre ore la mattina e tre la sera, porta gradualmente anche chi non ha mai meditato in uno stato di profonda meditazione, è importante perché non è un processo individuale ma sociale. Abbiamo il dovere di essere felici perché, più stiamo bene, più contagiamo le persone che ci stanno vicino, soprattutto quelle che amiamo.

Effetto gentilezza

Noi sappiamo che questi processi di gentilezza, di ottimismo, di meditazione, di contemplazione sono contagiosi, ci sono degli studi di Harvard molto interessanti; sappiamo anche che sono pratiche trasmissibili in modo funzionale e semplice; infine, sappiamo che ci vuole sensibilità istituzionale, quindi, quante più persone, quante più associazioni creano una rete di buone pratiche, di uno stile di vita consapevole più ci sarà un effetto onda, la scienza lo chiama effetto contagio.

Per questo hai dato vita al Movimento Italia gentile?

Ormai ha più di 50 comuni che hanno aderito, lo Stato di San Marino, siamo dentro tante scuole e ospedali, stiamo creando una rete di 17 carceri che hanno fatto esperienza con noi, si sta muovendo qualcosa e noi siamo molto felici. Più si crea questa rete e più credo che riusciremo ad avere un impatto sul tessuto sociale.

L’ultima esperienza che stiamo facendo è nelle imprese. Gallup ha pubblicato i primi dati di uno studio che attesta che negli ambienti lavorativi dove c’è un ambiente compassionevole, empatico, gentile, basato sulla fiducia, la performance dei collaboratori migliora del 200%. Si può fare tanto, sappiamo che purtroppo le società lavorano per logiche di convenienza, ma la convenienza nella meditazione e nella gentilezza c’è.

Daniel, in conclusione, cos’è per te il quoziente umano?

Quando ci sono le grandi ispirazioni, quando entriamo in contatto con la meraviglia dell’esistenza, questo dono grandissimo, lì si sviluppa naturalmente una profondità istintuale nell’essere umano, che ci permette di orientarci, di tirare fuori quella saggezza intrinseca che davvero abbiamo nella luce del cuore. Io credo che si possano fare grandi cose in questo senso e che l’approccio debba essere semplice, onesto e si debba reggere su quelle che sono i valori che nelle antiche tradizioni sapienziali ci hanno sempre trasmesso e che oggi grazie a dio le neuroscienze stanno validando.

Per me attualmente l’essere umano non è un homo sapiens è un ego sapiens e questa condizione credo andrebbe guarita: dobbiamo passare per una umanizzazione reale della componente sapiens in questo pianeta.

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