Civic Brands, l’impegno sociale dei brand motore di crescita della comunità

Di purpose, sostenibilità e attivismo delle aziende si parla già da qualche anno, usando e abusando di questi termini in modo spesso inappropriato. La pandemia ha acceso ancora di più i riflettori sull’impatto delle azioni dei brand, rivelando che i consumatori oggi più che mai hanno bisogno di verità e trasparenza da parte delle aziende. È quanto emerge dall’Osservatorio Civic Brands, il nuovo progetto editoriale di Ipsos e Paolo Iabichino, che mira a indagare e raccontare l’impegno sociale delle aziende e brand in Italia, inteso come impatto delle azioni compiute dalle marche per generare cambiamento negli ambiti più diversi: dalla sostenibilità ambientale alla gender equality, dal rispetto delle filiere alla diversity e all’inclusione. L’Osservatorio intende essere un punto di riferimento per la comprensione, lo studio e il monitoraggio dei comportamenti e degli atteggiamenti dei consumatori nei confronti dell’attivismo dei brand e offrire uno spazio di riflessione sulle tematiche che riguardano brand purpose e attivismo da parte delle aziende.

Il progetto, comunicato a fine aprile, è stato presentato ufficialmente nell’edizione digitale del WMF il 5 giugno da Paolo Iabichino e Andrea Fagnoni, chief client officer Ipsos. Al momento consultabile su Facebook e LinkedIn, offre periodicamente dati e riflessioni su questi temi.

“L’idea di questo Osservatorio è nata già nel 2019 per cercare di fare ordine in un settore in cui i temi della sostenibilità, del purpose e dell’attivismo erano diventati ormai mainstream – spiega a Quoziente Humano Paolo Iabichino -. Con il lockdown abbiamo ritardato il lancio del progetto, ma forse è stato un bene, perché l’emergenza ha acutizzato le dinamiche tossiche nella comunicazione pubblicitaria. Oggi ci troviamo nella necessità di bonificare l’esuberanza di chi abbraccia questi temi a cuor leggero, cadendo nel buonismo e nella demagogia, e capire insieme quali possono essere le direttrici sane di una comunicazione che non disorienti il consumatore. Vogliamo, insomma, creare un punto di incontro fra le aziende e la società”.

“L’impegno e il purpose di cui si parlava tanto, spesso abusandone, già l’anno scorso, oggi sono diventati una vera e propria esigenza per le marche – aggiunge Andrea Fagnoni, chief client officer Ipsos -. Questo perché le persone affidano loro dei territori che in passato erano delegati alle istituzioni. Oggi più che mai gli individui sono definiti anche dai beni che consumano, e la scelta di una marca è legata a quanto quei beni li rappresentano. Ora, dunque, che gli spazi valoriali sono diventati territorio di nessuno, le aziende hanno una grande opportunità: diventare dei veri motori di crescita della comunità, intervenendo in modo concreto e relazionandosi con i consumatori. Soprattutto, è importante essere trasparenti e veritieri, costruendo una strategia di marketing intorno ai propri valori, e non, come invece capita purtroppo spesso, creare un purpose fittizio partendo da una strategia commerciale. Le persone lo capiscono subito, e puniscono il brand”.

Comunicazione e pandemia: cosa vogliono i consumatori

La pandemia è stata senz’altro un terreno di prova importante, in cui le aziende si sono misurate con la necessità di comunicare alle persone la propria vicinanza, in un momento così difficile. “In una prima fase abbiamo assistito ai vari inviti di rimanere a casa e a gesti di straordinaria generosità da patte di tante aziende che hanno fatto donazioni ai reparti di terapia intensiva – continua Iabichino -.  In un momento successivo, ci sono stati i ringraziamenti a chi era in prima linea nell’emergenza. Ora siamo passati alla fase della ripresa, ma in pochi hanno scelto un proprio brano narrativo da sviluppare: il risultato è la ripetizione degli stessi concetti e linguaggi e l’effetto ‘melassa’, che tanto infastidisce le persone”.

È proprio il consumatore, infatti, a non volere messaggi confusi o, peggio, contraddittori e non rispondenti al vero, in una fase così delicata e critica come quella che stiamo vivendo. I dati divulgati dall’Osservatorio parlano chiaro: se da un lato aumenta il numero di italiani che vede il peggio della crisi alle proprie spalle (31%), in realtà solamente una piccola parte di essi si sente già ‘atterrato’ in una nuova normalità (7%). La maggioranza delle persone (59%) sta ancora reagendo giorno per giorno all’evolversi della situazione, trovando nuove abitudini. Restiamo preoccupati per la nostra salute (39%), per le persone più fragili (43%), per la nostra condizione economica (30%) e, in generale, per il fatto che nulla sarà più come prima (40%).

Certo, allo stesso tempo abbiamo voglia di tornare alla vita di sempre (36%) e siamo speranzosi di vedere come cambierà il mondo da un punto di vista ambientale (27%).
Un dato, però, è certo. Nonostante l’incertezza del periodo, in questa terza fase post-Covid, le persone chiedono di tornare a registri e toni di comunicazione normali. La sostenibilità resta un tema centrale: il 51% degli italiani ritiene che una marca o un’azienda che oggi non agisce concretamente in tema di sostenibilità ambientale non può avere futuro. È arrivato, insomma, il momento per marche e aziende di ritornare a centrare il proprio focus sulla propria storia, i propri valori e il proprio impegno sociale, anche attraverso l’esposizione dei propri manager e imprenditori, che per il 53% degli italiani hanno la responsabilità di far sapere al pubblico come la pensano e come intendono agire in ambito sociale, culturale e politico.

Esempi virtuosi

Risultano vincenti le marche che riescono a uscire dalla ‘mischia’ con messaggi differenzianti, prendendo anche posizioni nette nei confronti di temi di attualità, anche quelli più scottanti, in coerenza con i propri valori. Esempi eloquenti sono Nike, che nel 2018 scelse come testimonial il quarterback Colin Kaepernick, al centro delle polemiche per la protesta antirazziale, o Diesel, che in un Tweet aveva ringraziato i follower persi per avere partecipato al gay pride, o, venendo a oggi, tutti quei brand – Nike, Netflix, Adidas, Apple, ecc… – che in questi giorni stanno sostenendo la campagna ‘Black Lives Matter’, dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd.

“In Italia abbiamo Lavazza, che è uscita ai primi di maggio con la campagna molto potente ‘Good Morning Humanity’, in cui, riprendendo le parole pronunciate da Charlie Chaplin ne ‘Il grande dittatore’, comunica un messaggio di inclusività e fratellanza: cosa che gli ha causato non poche critiche sui social, e un’altissima posizione nei Trend Topic di Twitter per ben tre giorni – continua Fagnoni -. Prendere posizione oggi per un brand non è necessario, ma è senz’altro urgente”.

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