Cinzia Monteverdi, Fondazione il Fatto Quotidiano

Rendere la solidarietà un fatto quotidiano

Cinzia Monteverdi è la manager che ha preso le redini della Società Il Fatto Quotidiano e ne ha fatto un gruppo multimediale avanzato, quotato in Borsa, attivo nel settore dell’informazione quotidiana e periodica cartacea e digitale, dell’editoria libraria, della produzione di contenuti video per la tv e non solo, degli eventi. Recentemente, il Gruppo ha avviato uno studio di fattibilità per il lancio di un progetto di formazione, che dovrebbe partire dopo l’estate. Dallo scorso novembre è anche presidente della Fondazione Il Fatto Quotidiano, fondata dalla SEIF con Monteverdi stessa e Marco Travaglio per dare sostegno economico a progetti di solidarietà sociale.

Questi, i risultati del suo lavoro presso la SEIF. Ma chi è Cinzia Monteverdi? E come arriva a diventare il numero uno della SEIF?

Tredici anni fa ero seduta al tavolo dei fondatori del Fatto Quotidiano. Fu Marco Travaglio a chiedermi di entrare nell’azionariato. Collaboravo già con lui perché avevo un’agenzia di comunicazione e di eventi anche giornalistici. E avevo il sogno di fondare un giornale, libero e indipendente. Un giorno Marco mi disse che Antonio Padellaro, uscito dall’Unità, aveva il progetto di un quotidiano, appunto libero e indipendente. Ho voluto con tutte le mie forze farne parte. Da lì parte tutto. Entrai subito nell’azionariato con una quota importante che oggi è quella di maggioranza ed entrai nel consiglio di amministrazione. Dopo un anno lasciai la mia agenzia per la responsabilità del marketing della Società Editoriale Il Fatto. Nel 2012 sono poi diventata amministratore delegato. Ho guidato la Società verso il percorso di sviluppo e diversificazione. Oggi non pubblichiamo solo un quotidiano ma siamo una media company a 360 gradi. Pubblichiamo libri, abbiamo un mensile e un ramo di produzione televisiva.

Oggi si parla tanto, tantissimo di gender gap e di inclusione delle donne nei processi decisionali e nei ruoli apicali nelle aziende. Qual è la sua posizione in merito, e soprattutto la sua esperienza?

Sono stata nella mia vita molto fortunata. Non ho mai incontrato ostacoli in quanto donna. Fin dalle prime esperienze lavorative ho incontrato sempre persone che piuttosto mi riconoscevano i meriti di creatività legati all’essere femmina. Mi rendo però conto che non è così per tutte.

Esiste secondo lei un approccio femminile al management? Ritiene che le donne al comando di una azienda agiscano in modo diverso dagli uomini?

Penso che le donne nei luoghi apicali, quando se lo meritano oggettivamente, possono dare maggiori risultati degli uomini perché le donne sanno essere più diplomatiche, più strategiche e anche più psicologhe. Ma non vale per tutte. Non mi piacciono le generalizzazioni. Ci sono uomini bravissimi e donne bravissime. Diciamo che se una donna è brava ha qualche marcia in più dell’uomo. Trovo triste si sia arrivati alle quote rosa che spesso sono il segnale di una società ancora in ritardo. Preferirei, rispetto alle imposizioni, che i processi di inclusione delle donne nei ruoli apicali avvenissero naturalmente.

Profit e no profit viaggiano insieme

Con la nascita della Fondazione Il Fatto Quotidiano, SEIF ha dato un forte impulso al proprio impegno sociale. Come e perché nasce questa iniziativa, quali sono i progetti più rilevanti che state finanziando in questo momento?

La Fondazione nasce perché ritengo che il profit e il no profit debbano viaggiare a braccetto soprattutto per una realtà come la nostra.

Ci siamo occupati per tanti anni di denunciare ingiustizie e disagi sociali. Era arrivato il momento di affiancare alle parole i fatti.

In pochi mesi abbiamo messo in piedi una rete di donatori importanti. Aiutiamo associazioni che operano fattivamente nel nostro territorio e portiamo risultati molto concreti che comunichiamo con massima trasparenza. Abbiamo aiutato donne vittime di violenza attraverso l’Associazione Trama di Terre, abbiamo aiutato il Pane Quotidiano di Milano  per i poveri, abbiamo aiutato la croce rossa della Val di Susa per i migranti, abbiamo aiutato i bambini malati oncologici di Kiev in grande difficoltà non appena è scoppiato il conflitto attraverso la Fondazione Soleterre, e nell’ultimo progetto abbiamo supportato la Fondazione Fo Rame per aiutare 25 profughi ucraini. Non vogliamo cambiare il mondo ma nel nostro piccolo dare un contributo.

Recentemente, avete avviato un progetto legato alla formazione: tra le aree citate ci sono le scienze umanitarie.

Il progetto formazione è ancora in una fase di definizione. Entro l’estate si potrà comunicare con più chiarezza. Il progetto dovrà guardare ai giovani. Alle persone di oggi ma anche del futuro. Non c’è l’obiettivo di formare leader ma formare persone in grado di scegliere nella vita. Persone che vogliono un mondo decisamente migliore.

Un altro tema al centro del dibattito sulle donne è quello dell’empowerment femminile, professionale economico sociale e dell’istruzione: cosa pensa che sia necessario fare conseguirlo?

Dovrebbero cambiare le persone. Ognuno di noi dovrebbe impegnarsi in un processo di inserimento delle donne. Oltre all’impegno delle istituzioni ci vuole l’impegno della società civile. Diciamo che la società civile dovrebbe crederci. La società civile è ovunque, nelle scuole, nelle aziende, e nelle istituzioni pubbliche. Se cambiano le teste tutto il resto avviene in maniera naturale.

Dopo aver raggiunto tutti questi risultati, quali sono i nuovi obiettivi di Cinzia Monteverdi?

Fermarmi un attimo e dedicarmi a missioni umanitarie.

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