NoPlanetB: un’Europa delle alleanze per educare

Le risorse che l’Unione Europea dedica all’educazione della cittadinanza allo sviluppo, in termini di climate change, sono pari a 250 milioni di euro in 6 anni, se pensiamo che una azienda come Volkswagen ne spende 5.7 bilioni ogni anno in pubblicità, ci rendiamo conto di cosa servirebbe per competere nello spazio mediatico là fuori, dove si contendono l’attenzione differenti interessi e messaggi.

A sottolinearlo è una delle voci partecipanti alla conferenza finale del progetto “There isn’t a PLANet B! Win-win strategies and small actions for big impacts on climate change”, due giorni di confronto online, il 20 e 21 aprile scorsi, all’interno dell’iniziativa NoPlanetB, promossa da Fondazione punto.sud e co-finanziata dall’Unione Europea, per diffondere stili di vita sostenibili.

L’iniziativa ha raccolto rappresentanti dell’associazionismo e delle istituzioni europee, per cercare di rispondere a una domanda: come costruire alleanze innovative tra le organizzazioni della società civile, per incoraggiare azioni efficaci di impatto sul cambiamento climatico?

DEAR Programme, strumento di consapevolezza

A spiegare quanto fondamentale sia per l’Europa discutere di programmi e fare alleanze è Anne Marie Vermunt, Task Manager del DEAR Programme (Development Education and Awareness Raising Programme, DEAR): l’iniziativa di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo dell’Unione Europea,  indirizzata a migliorare la comprensione, le competenze e l’impegno critico dei cittadini europei, nei confronti dello sviluppo e delle problematiche correlate.

Una iniziativa che ha aiutato a nascere molte partnership tra organizzazioni di differenti Paesi.
“Per spingere la comprensione reciproca, per trovare un terreno comune di pensiero e azione”, spiega Vermunt. Una sfida tra molte variabili: dalla gestione delle differenti (anche nelle dimensioni) alleanze create per partecipare al programma, al tema dell’accountability, fino a quello delle risorse necessarie per dare visibilità alle iniziative e ai temi affrontati dai progetti finanziati con il DEAR.

È importante arrivare al pubblico – ribadisce Vermunt – tanto che la più recente edizione del DEAR (2018-202,2 ndr) ha previsto che possano fare parte dei progetti finanziati anche società profit attive nel mondo della comunicazione. Crediamo fortemente che, negli anni post Covid, un’azione educativa di alta qualità sarà sempre più cruciale per costruire politiche adeguate”.

Altrettanto convinto della bontà del DEAR e della necessità di sostenere programmi che diano forma alla cittadinanza attiva ed educhino alla consapevolezza sul climate change si dimostrano João Ribeiro de Almeida, presidente di Camões, Istituto per la cooperazione e la lingua portoghese, e  Antonio Torres Marques, funzionario dell’Istituto rinforza il bisogno di unione: “Una Europa aperta chiede di lavorare con alleanze da diversi Paesi. È una sfida, ma una sfida chiave, stiamo parlando di politica estera, stiamo parlando del mondo. Certo si tratta di un processo di lungo termine”.

Ecco perché, nel processo, vanno coinvolti tutti gli attori: società civile, istituzioni, aziende.
“Le amministrazioni, in particolare a livello locale – sottolinea Silke Lunnebach, project coordinator di Climate Alliance -, possono diventare un role model per i cittadini“.

La società civile traina, le istituzioni rispondono

“Crediamo che per fare entrare il climate change nelle strategie di business e nell’azione della politica, l’ingaggio della società civile abbia un ruolo chiave e l’Agenda 2030 ci ha ben mostrato che tutti i temi sono correlati, così come ha fatto la pandemia”, interviene Giulio Lo Iacono, coordinatore generale di ASVIS, Italy.
Per questo, serve una alleanza.

“ASVIS riunisce più di 290 organizzazioni, abbiamo un dialogo quotidiano con le istituzioni, presentiamo i nostri report annuali contribuendo alla trasparenza in tema di sostenibilità, misuriamo se e come viene implementata in Italia l’Agenda 2030 e facciamo proposte che vengono ascoltate, proprio grazie alla forza del network”.
Tra i risultati ottenuti c’è il cambio di nome, dallo scorso 1 gennaio, del  Comitato interministeriale per la programmazione economica diventato Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile: “uno shift non solo formale”, sottolinea Lo Iacono.

Un’altra richiesta, quella di inserire in Costituzione i principi dello sviluppo sostenibile, ha visto il Presidente del Consiglio Mario Draghi, “impegnarsi per assicurare una prospettiva di più lungo periodo e giustizia intergenerazionale”.

“Ma non basta parlare con le istituzioni – aggiunge  Lo Iacono -, serve mobilitare le persone e per questo, tra le altre attività, è nato il Festival dello Sviluppo sostenibile, con una grande attenzione alle giovani generazioni“.

Dalla due diligence alla duty diligence

Se nella alleanza di Asvis non è previsto l’ingresso di aziende, “lavoriamo con loro a programmi specifici, perché hanno un ruolo chiave nel raggiungere i goal previsti nell’Agenda 2030”, aggiunge il rappresentante di ASVIS.

È invece inclusiva, in termini di adesione, la Fondazione Global Compact Network Italia, nata per contribuire allo sviluppo nel nostro Paese del Global Compact delle Nazioni Unite, iniziativa per la promozione della cultura della cittadinanza d’impresa. Le aziende e le organizzazioni che ne entrano a far parte si impegnano a contribuire alla realizzazione degli scopi dello stesso, non solo sostenendo economicamente l’organizzazione, ma anche partecipando attivamente alla vita istituzionale e alla implementazione delle iniziative in programma.

“Global Compact raccoglie più di 13 mila organizzazioni nel mondo, anche non business – spiega Daniela Bernacchi, segretario generale del capitolo italiano -. Crediamo in una strategia multistakeholder, abbiamo 67 network locali che coprono 167 paesi, 16 in Europa, e lavoriamo su 10 i principi in 4 aree tematiche che chiediamo alle aziende di rispettare: diritti umani, ambiente, lavoro e lotta alla corruzione. La nostra missione è quella di contribuire alla risoluzione di problemi e alla innovazione”.

Global Compact Network Italia ha presentato anche nuove “Linee guida per gli approvvigionamenti circolari nel settore privato” per fornire alle aziende un primo supporto decisionale nell’adottare scelte di approvvigionamento più consapevoli e ispirate alla circolarità: dalla selezione di materie prime e prodotti a quella dei fornitori. Inoltre, ha sviluppato uno strumento di misurazione qualitativa che possa dare idea alle organizzazioni di quale sia il livello di circolarità del loro approvvigionamento
(scarica qui sotto i documenti)

Dare forma a nuove skill e cambiare la mente delle aziende

Come si trasformano le motivazioni spesso legate ai finanziamenti in gioco e a esigenze di marketing in una reale missione, a favore della società e dell’ambiente?

“Siamo consapevoli – spiega Bernacchi – che la strategia legata al climate change debba essere integrata nella business strategy aziendale e che necessiti dell’impegno di tutti i dipartimenti e in tutta l’azienda. La loro collaborazione è cruciale, l’agenda 2030 riconosce l’importanza delle aziende  e, soprattutto, la loro responsabilità in questo processo”. “Quello che facciamo – aggiunge  – è lavorare perché le stesse aziende coinvolgano ad esempio nel processo i proprio fornitori”, dando così origine a un circolo virtuoso.
 
Per Gyula Bándi, Deputy Commissioner dell’ungherese The Commissioner for Fundamental rights, se è vero che “gli interessi di business possono trovarsi contro gli interessi sociali, quando la cooperazione non è solo formale, quando c’è un focus su obiettivi concreti da raggiungere, può funzionare”.

Comunicare l’impatto positivo e… quello negativo


“La crescita della consapevolezza delle aziende – sottolinea, infine, Torres – va vista come un punto di partenza per un reale processo di educazione in un ambito di alleanze multistakeholder, per costruire e mantenere una relazione di reciproca fiducia”.

Anche in questa ottica,la trasparenza è fondamentale ed è per questo che, chiude Anne Marie Vermunt, “insistiamo molto con il DEAR Programme, affinché le aziende comunichino il proprio impatto positivo, ma anche quello negativo: autentiche e responsabili.

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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva.

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