Giovani e sport negato. Società e famiglie unite per l’inclusione

Salute, socialità, inclusione. Parole chiave per le società sportive italiane impegnate a lavorare con i più giovani, prendendosi cura di corpo, mente e spirito di bambini e ragazzi.

Le stesse società che, in grande numero nelle scorse settimane, si sono unite per chiedere un passo indietro al Governo sulla decisione di imporre il Green Pass rafforzato ai ragazzi sopra i 12 anni, per accedere allo sport. Anche all’aperto.

A partire sono state 10 società sportive della provincia di Forlì e Cesena, con una lettera aperta e una protesta raccolta da migliaia di genitori rappresentati da comitati nati nei mesi scorsi in relazione alle restrizioni per i minori. Fenomeno che si è allargato a macchia d’olio, tra le altre, a 25 società delle Marche, 50 venete, così come ad alcune decine di scuole di danza del territorio romagnolo. Ne raccontiamo le ragioni attraverso la testimonianza di due allenatori: Alessandro Zauli e Christian Brigliadori.

“Nessun bambino deve rimanere fuori dalla porta”

Christian Brigliadori è coordinatore e allenatore di Around Sport società di promozione sportiva e gestione impianti, tra le società firmatarie dell’appello.

“Siamo partiti noi – spiega -. e si sono aggiunte 25 società delle Marche e diverse società liguri. Il Veneto ha fatto un comunicato, ma le società, una cinquantina, non hanno voluto apparire con il loro nome, solo il presidente e questo è preoccupante. Ricevo messaggi da ogni parte dell’Italia e tutti dicono la stessa cosa, siamo con voi ma abbiamo paura delle conseguenze. Quando qualcosa è evidentemente sbagliata, in una società civile si può e si deve educatamente esprimere il proprio dissenso e da lì partire con un dialogo”.

Avete contatti con altri sport?

Ci hanno contattato società da ogni parte d’Italia, di ogni Federazione, anche perché noi siamo stati gli ultimi colpiti ma ci sono sport completamente falcidiati, il volley il basket, il nuoto, tutti quelli al chiuso.

Venite da due anni di protocolli per mettere in sicurezza i ragazzi.

Assolutamente sì, li abbiamo seguiti tutti, per l’interno e per l’esterno. Ed essendo un centro molto grande, con tante discipline, abbiamo cercato di portarle all’esterno per permettere a tutti di fare sport.
Ci siamo alzati in piedi e abbiamo gridato perché sono andati a toccare anche l’attività all’aria aperta e questo va contro ogni buon senso e ragione scientifica. È concettualmente incomprensibile.

Quali ragioni avete portato all’attenzione del governo?

Le leggi di uno stato devono tutelare i minori, in questo caso noi ci siamo fermati su di loro, devono tutelare la parità e il diritto allo sport e non creare discriminazione, questa legge lo fa.

Qualcuno ci dice che i numeri sono bassi, che i bambini sono quasi tutti possessori di Super Green Pass, ma anche se ce ne fosse solo uno in territorio nazionale il concetto è sbagliato. E qui dovevano essere le federazioni, le associazioni di settore ad alzarsi in piedi e non le singole società. Dov’è l’associazione allenatori della FGCI, dov’era la FGCI che si è mossa solo dopo? Io sono molto arrabbiato con l’Associazione allenatori a cui ho anche scritto.

In tutti i codici etici, in tutte le carte dei diritti delle federazioni, della comunità europea, della difesa del bambino, della persona, lo sport come la scuola sono considerati beni essenziali e noi con questa legge non possiamo più tutelarli.

E ripeto un concetto sottile, ma importante, fino a quando si parlava di ambienti al chiuso, nonostante non lo condividessimo abbiamo cercato di capire, perché poteva avere una valenza scientifica, ma all’aria aperta non ne ha. E l’aria è del pianeta non è dell’uomo, è un concetto basico.

Cosa vi aspettate?

Intanto un comunicato dell’AIAC (Associazione Italiana Allenatori Calcio, ndr) e del presidente Renzo Olivieri. Noi allenatori ci dobbiamo girare dall’altra parte perché un bambino ieri ha compiuto 12 anni? Fino al giorno prima si poteva allenare e il giorno dopo non può farlo più?

Mi aspetto un passo indietro, anche perché il disagio giovanile è evidente, le società stanno prendendo coraggio.

Cosa vedete nei ragazzi?

Io lavoro nello sport 24 ore su 24, lo dico con il mio ‘occhiometro’, la depressione giovanile è evidente, basta digitare su Google quali sono gli effetti della pandemia per trovare molti studi, riportati anche dalla Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e non parliamo più dell’esplosione di Hikikomori, ma di autolesionismo e tentati suicidi ed è sconcertante.
Come coordinatore, nel mio ufficio, avevo in un anno un paio di famiglie che mi dicevano ‘mio figlio non esce più di casa puoi aiutarlo?’. Oggi c’è una media di due famiglie a settimana.

Ai ragazzi come spiegate quello che succede?

I ragazzi soffrono e tutti, o comunque la maggior parte, dicono che non è giusto.
Loro vogliono solo giocare, si stanno organizzando nel trovarsi nei parchi tutti insieme. Lo sport è come la scuola ed è un diritto. Tutti devono parteciparvi, è semplice.

Qual è la relazione con i genitori e quella con il territorio?

Noi abbiamo attuato un sondaggio sui genitori e posso dire che la maggior parte delle persone è per la condivisione di uno sport per tutti, poi, certo, nella minoranza c’è chi ha molte paure e diventa duro nei modi di pensare e parlare.

Dalla Istituzioni locali non ho sentito nessuno, anche se vorrei essere convinto che nel loro silenzio possano assecondare il nostro modo di pensare, perché un altro modo è disumano.
Il presidente della Federazione dell’Emilia Romagna della FGCI invece si è fatto promotore di un comitato per andare a parlare di queste limitazioni.

Ora come vi muoverete?

Noi come Around sport abbiamo una consapevolezza di base, proponiamo uno sport per tutti, il 20 dicembre abbiamo ospitato il convegno internazionale sullo sport inclusivo. In ogni disciplina, anche agonistica, includiamo autismo, sindrome di down, un nostro allenatore è un ragazzo con la sindrome di down che lavora con bambini normodotati, come potevamo stare zitti?

Bisogna avere onestà intellettuale e un buon senso pratico e procedere. A mio avviso bisogna cominciare a pensare a una disobbedienza civile, o parlarne, noi abbiamo cercato di parlare di disobbedienza civile per cercare di aprire un dialogo.

Come allenatore e come persona come ti senti in questa situazione?

Sono stato molto chiaro, non alleno se qualcosa non cambia. Non alleno più e non faccio più questo lavoro e nessun allenatore dovrebbe farlo.

Ho iniziato che avevo 13 anni, un anno non ho allenato, è la mia trentesima stagione tra aiuto allenatore e allenatore. Andrò ad allenare in un parco, come ha già fatto qualche mio collega che si è alzato in piedi e ha detto basta. Ma mi aspetto che tutti si alzino in piedi, anche perché altrimenti, tra un po’, tutte le società di calcio e sportive chiuderanno per i costi di gestione

Per quanto riguarda me, tra dieci o quindici anni, vorrei che i miei figli, che oggi hanno 20 e 22 anni, si girassero indietro e dicessero  ‘te babbo almeno hai provato a fare qualcosa e non sei stato zitto’. Ho avuto 44 anni bellissimi della mia vita e almeno questa lotta giusta, che mi spetta per la mia competenza, la voglio fare per i miei due figli e per tutti i bambini che vedo tutti i giorni.

Ci si sta muovendo per dare una possibilità agli atleti stranieri, e dico giustamente, di poter gareggiare senza Super Green Pass, almeno questa è la dichiarazione della Vezzali, ma contemporaneamente non si è mossa una parola sui bambini italiani che non possono fare attività. Questo mi lascia sconcertato.

La battaglia va oltre la questione contingente?

Noi abbiamo formato questo comitato con un codice etico, non è questione di pro o no vaccino perché in questo comitato dialoghiamo tra vaccinati e non e lottiamo insieme perché si possa dialogare su una libertà di scelta e soprattutto sul diritto di fare sport. Qui si parla di un disagio giovanile che è sotto gli occhi di tutti e non cade sotto il solito discorso si vax e no vax. È puerile, basta…

Alessandro Zauli
Alessandro Zauli

Lo sport deve essere considerato per come è: importante

Alessandro Zauli è allenatore alla Compagnia dell’Albero di Ravenna, tra i primi a esporsi individualmente con un significativo post su Facebook: “Mi offro per allenare al parco i bambini esclusi dallo sport, perché sprovvisti di vaccinazione. Io trivaccinato”.

È un discorso che viene più da lontano rispetto al Covid – esordisce nella nostra chiacchierata – lavoro nel calcio ma sto parlando per tutti gli sport. Come Paese, abbiamo una mancanza di cultura sportiva imbarazzante, a partire dalle scuole. E che il dottor Bertolaso, mi risulta sia un medico, abbia dichiarato in una intervista a La Stampa che l’educazione fisica non è fondamentale, per me è agghiacciante. Evidentemente gli antichi che dicevano ‘mens sana in corpore sano’ erano degli stupidi.

Non è possibile che l’unica soluzione sia sempre stata quella di chiudere. La scuola e lo sport.
Il calcio è uno sport all’aperto e, i medici lo dicono, l’attività all’aperto fa bene, agli ormoni dell’umore, al sistema cardiocircolatorio. Se una cosa migliora il sistema immunitario, che peraltro difende dal Covid, perché la vieti?
È un controsenso assurdo.

Come sono stati questi due anni per voi allenatori?

Siamo stati catalogati come superflui, inutili, siamo stati chiusi da febbraio a giugno nel 2020 e ci hanno dato una elemosina, non un rimborso. È piuttosto curioso che politici che ricevono migliaia di euro al mese considerino congruo che qualcuno debba vivere con 600 euro.

Poi siamo stati chiusi altri sette mesi non potendo svolgere allenamenti a contatto, in uno sport che… è di contatto. È come dire che esco con una ragazza e non si presenta lei ma uno con la sua foto, abbiamo dovuto inventarci un altro sport.
Poi ci hanno riaperto per farci giocare con 40 gradi.

Quest’anno potremmo allenarci ma non abbiamo i bambini, alcuni hanno fatto sei quarantene in due mesi e, poi, i bambini che sono stati positivi, per tornare all’attività, devono rifare la visita medico sportiva, un altro costo per le famiglie oltre al fatto che non trovano posto in tempi brevi.

Hai lanciato una proposta sulle visite mediche per i bambini guariti dal Covid.

Come già è stato fatto per i vaccini, si dovrebbero organizzare una o più giornate dedicate a visite mediche sportive per i ragazzi che ne hanno bisogno, senza appuntamento con accesso diretto. Possibilmente con un prezzo calmierato viste le tante difficoltà economiche delle famiglie.

E poi c’è chi è senza Green Pass rafforzato.

Siccome i ragazzi non avevano la vaccinazione non potevano fare sport, come se dipendesse da loro.
Si potevano trovare altre strade; lo scorso anno siamo diventati matti con la temperatura, l’igienizzazione delle mani, gli spogliatoi che non si potevano usare, solo chi era in mezzo a noi sa i salti mortali che abbiamo dovuto fare per adeguarci alle normative.

Nel 2020 facevo tutti i giorni degli incontri su skype con dei quiz sullo sport per cercare di mantenere il legame con i bambini; lo scorso anno dovevamo farli allenare senza potersi toccare, abbiamo progettato cose che sono un surrogato del calcio, però lo abbiamo fatto lo stesso, per i nostri ragazzi.

Nel mese e mezzo in cui siamo stati di nuovo chiusi, io andavo al campo da solo attaccavo la telecamera sulla rete di recinzione e facevo degli esercizi che i ragazzi facevano con me da casa, perché vedessero almeno il campo.

Sai che ero da solo, non c’era nessuno, è passata una signora dietro di me e mi ha detto “è colpa tua se muore la gente…”.

Il tema è l’accesso allo sport in generale.

La mia presa di coscienza sui bambini non vaccinati è arrivata perché non trovavo giusto discriminare un bambino per una scelta dei suoi genitori. Altro che carta dei diritti del bambino, cerchiamo di essere coerenti.

Molti ragazzi stanno abbandonando silenziosamente lo sport nel completo disinteresse di istituzioni, federazioni. 

Ripeto è un discorso più generale, lo sport deve essere considerato per quello che è: importante. È condivisione, socialità, salute, prevenzione, un bambino che non fa sport sarà un adulto più malato e quindi lo stato dovrà spendere di più per curarlo.

Una nazione civile dovrebbe innanzitutto fornire strutture degne di questo nome, vedi atleti che fanno le Olimpiadi e devono allenarsi in condizioni assurde, però quando vincono c’è il ricevimento da parte dei politici di turno.

Parliamo anche di lotta al disagio sociale e psicologico.

Tante volte noi ci sostituiamo alle famiglie, vorrei che venissi una volta con noi al campo e vedessi il lavoro di osservazione che facciamo sui bambini che reclamano attenzioni, che magari hanno condizioni familiari particolari.

Faccio un esempio pratico, sono passati trent’anni e lo posso dire: un anno avevo un bambino figlio di un argentino, non se la passavano bene economicamente e lui giocava con delle scarpe molto consumate, ne comprai un paio della sua misura, dissi che mio fratello le aveva vinte a una sagra ma dovevamo fare una estrazione. Tutti i 12 biglietti erano a suo nome, i soldi li abbiamo messi io e il segretario della società. Ma se vuoi lavorare con i ragazzi queste cose le devi fare.

Io sono figlio e nipote di maestre, quelle di una volta che sapevano vita morte e miracoli dei propri bambini, quelle che avevano un cordone ombelicale incredibile con le famiglie. Chi lavora nell’insegnamento, che sia il calcio o la scuola, deve essere prima di tutto una persona che ha intelligenza sociale, che con un occhio capisca chi ha davanti e qual è il canale giusto per aiutarlo.

Stai parlando di umanità.

Facciamoci tutti un esame di coscienza su quello che siamo diventati, inumani: la ragazza che perde il bambino perché non la fanno entrare in ospedale perché non ha il tampone è qualcosa che non si può definire. Si parla sempre di inclusione, di aiuto ma poi bisogna praticarli, è facile parlare in astratto dell’accoglienza poi ti trovi un bambino che non è vaccinato e devi andargli a dire che non può giocare e non è semplice spiegarlo.

Alessandro Zauli

C’è quasi un senso di tradimento in quello che dici…

Il covid e questa situazione sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Possiamo renderci conto che lo sport è importante? E non è solo quello della serie A o delle Olimpiadi, è quello della gente che si alza la domenica mattina alle 8 e porta i bambini a giocare, che ci mette del proprio, o di chi la stessa mattina si alza e sacrifica del tempo agli affetti alla famiglia perché ha la passione, ha il fuoco dentro, perché per insegnare bisogna avere il fuoco.

Cosa ti aspetti succeda?

Adesso che calano i contagi ci rifaranno aprire e poi a ottobre?
Io sto mandando il curriculum all’estero perché nonostante non sia più un bambino voglio vivere in un’altra maniera. Non posso fare una attività con la spada di Damocle sulla testa, credimi anche io Non c’è stato un dare e avere, c’è stato solo un abbiamo dato e per l’avere, vedremo.

Cosa stanno facendo le istituzioni sportive e locali?

A marzo dello scorso anno ho riconsegnato al comune di Ravenna il mio certificato elettorale, dissi in una lettera che se non avevo diritto di lavorare e nemmeno di ricevere un indenizzo sufficiente, non avevo neanche il diritto di votare, perché non si possono avere diritti solo quando fa comodo agli altri.

E tutt’ora il mio certificato è là. Mi è stato risposto, da qualcuno che si è firmato ‘il capo di Gabinetto’, che per lo sport amatoriale hanno fatto tutto il possibile, peccato che noi non siamo sport amatoriale, se vogliamo cavillare io sono un allenatore professionista, ma non cavilliamo…

A ottobre 2020 scrissi anche al presidente del settore giovanile e scolastico della FIGC e non ricevetti risposta. Non è mai stata spesa una parola per questi bambini, la Federazione ha accettato le scelte del governo e ha sempre chiuso. Ma la Federazione siamo noi, le piccole società d’Italia che pagano e mandano avanti tutto e penso che avessimo almeno il diritto, non dico a una interrogazione parlamentare, ma al tentativo di trovare un’altra soluzione.

C’è una alleanza con i genitori?

Paradossalmente in questi due anni il rapporto è molto migliorato, perché hanno compreso quello che noi cerchiamo di fare per i loro figli e, soprattutto, che ci interessiamo veramente a loro.

Cosa dici ai bambini?

Ho tre squadre, i ragazzi di 13 anni, di 8 e i piccolini della scuola calcio, ho scritto sulla lavagna vietato parlare di Covid perché non sopportavo più che un bambino parlasse di zone rosse e tamponi. Io a 8 anni parlavo di cartoni, di una favola… anche se li capisco, sono continuamente bombardati.

C’è un episodio di che ti ha colpito?

Te ne dico uno per chiudere. Un bimbo di 8 anni la settimana scorsa mi ha chiesto se mi poteva abbracciare perché era da due anni che, a parte i genitori, non abbracciava nessuno…

Cosa gli hai risposto?

“Vieni qua…”

di Monica Bozzellini

Monica Bozzellini
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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva.Si occupa dello sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva, come professional counselor a mediazione corporea e teatrale

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