Fondazione Bracco sulle tracce della cultura d’impresa

Cosa significa cultura d’impresa? Per scoprirlo, può aiutare addentrarsi nell’esperienza delle grandi imprese italiane, così come in quella dei giovani imprenditori di oggi, che interpretano questa eredità in modo innovativo. Ecco perché in occasione della XIX Settimana della Cultura d’Impresa di Confindustria, Fondazione Bracco ha organizzato il webinar ‘Sulle tracce della cultura d’impresa. Istruzioni per l’uso e nuovi immaginari’, lo scorso mercoledì 11 novembre. Aperto da Diana Bracco presidente della Fondazione e dal Segretario Generale Gaela Bernini, l’incontro è stato un dialogo tra il sociologo e consigliere di MuseimpresaMarco Montemaggi, con Christian Salvatore CEO e Co-Founder di DeepTrace Technologies e Teresa Scorza, Founder dell’impresa sociale ZeroperCento.

Diana Bracco

Perché è importante la cultura d’impresa? “Perché significa esprimere una dimensione valoriale dell’impresa, che è anche un attore sociale dei territori in cui opera – sostiene Gaela Bernini -: valori come responsabilità, promozione del merito, sostenibilità, innovazione e intraprendenza. Promuoviamo questo seminario – aggiunge -, perché oggi affrontiamo momenti delicati e complessi e per attraversarli possiamo fare leva su valori come intraprendenza, leadership, resilienza e innovazione, tipici dell’impresa. Dobbiamo pensare a una rinascita del Paese e questo vuole dire anche promuovere proprio il ruolo dell’impresa”. E la rinascita passa anche dalle giovani generazioni, che, per costruire il futuro, “devono conoscere le imprese che hanno contribuito e contribuiscono a fare grande il Paese nel mondo. Aziende – continua Bernini – che non solo perseguivano il profitto per stare nei mercati ma cercavano di contribuire alla prosperità di un territorio e di una nazione”.
E cos’è la cultura di impresa, “il portato di tanti elementi dell’azienda – aggiunge ancora -: della sua storia, dei suoi valori, della tecnologia che crea ogni giorno e che dà sì un valore all’impresa, al tempo stesso facendo di quella tecnologia e innovazione un patrimonio diffuso anche per il Paese dove l’azienda cresce”.
Una cultura d’impresa condivisa e da condividere con le persone al suo interno, ma anche con l’esterno. “E qui arriva il ruolo delle Fondazioni, condividere la propria cultura rendendola patrimonio di tutti. Mi viene in mente Adriano Olivetti – cita Gaela Bernini -, che ha fatto di Ivrea uno dei poli industriali e culturali del nostro paese ed è stato tra i padri della costruzione e della valorizzazione della cultura di impresa in Italia”. Dai padri fondatori, come Olivetti o lo stesso Fulvio Bracco, ai ‘figli’ di una cultura di impresa capace di impattare in modo positivo sulla società.

Tecnologia o cibo, purché sia a impatto costruttivo

Come nel caso dell’impresa sociale ZeroperCento, bottega solidale a KM 0, in zona Niguarda a Milano, qui raccontata dalla sua fondatrice Teresa Scorza.
“Vendiamo prodotti etici alimentari – spiega -, ma l’obiettivo non è tanto la vendita quanto l’impatto sociale che possiamo creare con l’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettiva”. Vincitrice del Concorso per Startup sociali ‘Welfare, che impresa!’ 2020, ZeroperCento si trova oggi di fronte a una nuova fase: “Il premio ci sta permettendo di fare un passo in più, replicheremo infatti nelle prossime settimane con una seconda bottega, più centrale, nel quartiere Sarpi. Vincere ci ha consentito l’acquisto di attrezzature e l’utilizzo di uno spazio più grande rispetto a quello di Niguarda, con un investimento che per noi sarebbe stato impegnativo”.

“Non è facile realizzare un progetto se non hai esperienza e sei giovane – spiega ancora Scorza – è un continuo ridefinire, capire cosa non funziona… per noi ha funzionato aprire le nostre porte, parlare con interlocutori anche molto diversi e migliorare il progetto, anche grazie ai suggerimenti che le persone ci davano. Nel primo anno ho girato l’Italia, quel percorso è stato essenziale per arrivare  all’oggi; l’idea inziale non aveva senso, l’abbiamo dovuta rivoluzionare totalmente”.
Un modello replicabile in altri settori o aree del Paese quello di ZeroperCento? “Assolutamente – risponde la giovane imprenditrice, disponibile a condividere l’esperienza con chi fosse intenzionato a prenderne ispirazione -. Noi stessi stiamo lavorando per aprire in altre città, ad esempio Bologna. E diciamo sempre che il cibo è solo lo strumento che usiamo aper arrivare al nostro fine: il nostro business è l’impatto sociale”.

Dal cibo a impatto sociale alla tecnologia.
Sviluppa, infatti, sistemi di Intelligenza Artificiale applicata alla lettura di immagini, DeepTrace Technologies, guidata da Cristian Salvatore.
Tre le aree di intervento: “A partire dalla medicina, in cui supportiamo diagnosi e prognosi – spiega il Ceo -. Il nostro primo progetto, ad esempio, attività core della start up, si è incentrato sull’Alzheimer: analizzando una risonanza magnetica del cervello di un paziente, la nostra tecnologia consente di dire se nei due anni svilupperà la malattia. Allo stesso modo, durante la prima ondata di Covid, abbiamo sviluppato un sistema che leggendo le radiografie ai polmoni è in grado di dire se ci sia una polmonite intersitiziale da Coronavirus o un’altra polmonite”.

Il secondo ambito in cui DeepTrace Technologies può intervenire è quello legato all’ambiente, “leggendo le immagini riprese da un drone possiamo, ad esempio, quantificare i rifiuti su una spiaggia – continua il Ceo -. Mentre in un terzo settore, quello dei beni culturali, abbiamo traslato le tecniche usate in medicina sulle opere d’arte per esaminare in modo profondo cosa ci sia in un dipinto, oltre il visibile”.
Progetto Pluripremiato, Deep Trace Technology nasce da “quattro confondatori provenienti da un percorso di ricerca in fisica applicata alla medicina. Vedevamo tanti progetti di ricerca potenzialmente utili che restavano su carta – ricorda Salvatore -; mancava quell’ultimo passaggio, portare un prodotto dalla ricerca alla clicnica, al paziente, al cliente. Allo stesso tempo, sapevamo che all’impresa in sé, mancava un po’ una specializzazione nel testare e validare minuziosamente i risultati per arrivare al miglior prodotto possibile, approccio caratteristico della ricerca. Quindi, abbiamo contaminato ricerca con cultura di impresa prendendo il meglio da entrambe”.

Due giovani, due imprese differenti, un valore unico che li accomuna: l’intraprendenza.
“Una delle competenze chiave – chiude Gaela Bernini – per fare fronte al presente e al futuro”.

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Oltre 30 anni di esperienza nel mondo del giornalismo e della comunicazione aziendale; da oltre 5 anni è consulente alla comunicazione positiva e allo sviluppo della persona attraverso strumenti a mediazione artistica espressiva.

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